Non si esce vivi dagli anni ’80. Il revival continuo di luci al neon e glam rock è una droga cui non si può rinunciare. E questa volta tocca ad uno di quei mostri sacri che per tutta la decade ha spopolato sulle televisioni commerciali. Sto parlando di Karate Kid, per anni protagonista del celebre contenitore Nati Per vincere in onda ogni mercoledi invernale su Italia 1.
Alzi la mano chi non ha provato almeno una volta a fare la mossa della gru.
(ce ne fosse qualcuno, i loro nomi sono esposti nel bagno delle signore – semicit.)
Complice una parabola discendente di ben tre sequel (l’ultimo senza neppure Ralph Macchio ma con Pat Morita che balla le canzoni di Britney Spears) ed un remake con Jaden Smith che non graffiava, il franchise è rimasto però nella memoria dei fan e dei loro figli che ne hanno visto i celebri tormentoni (togli la cera, metti la cera), parodizzati e riutilizzati più o meno in qualsiasi tipo di produzione da Teen Titans Go! in poi.
Fino a quando nel 2017 il celebre canale YouTube Red non ha annunciato una prima stagione di 10 episodi che avrebbe dovuto raccontare le vicende dei protagonisti 34 anni dopo la fine del celeberrimo trofeo di All Valley. Stessi attori, Ralph Macchio e Willie Zabka, Daniel La Russo e Johnny Lawrence.
Lo sapete, io sono un amante sfegatato della serialità e avere qualche informazione in più su quello che era successo ai personaggi era già un piccolo regalo. Unico disappunto, un network di non facilissima reperibilità in Italia.
Il serial, già dal titolo avrebbe avuto un maggiore focus sulle vicende di Johnny Lawrence e di quello che rimane del famoso dojo di En Cino. E per l’ex rampollo di buona famiglia le cose non si sono messe decisamente bene. Vive prigioniero in un appartamento lercio e cosparso di bottiglie di birra. Fa lavoretti saltuari, gira ancora sul cadavere della sua vecchia Pontiac. Al contrario la vita sembra aver sorriso parecchio a Daniel La Russo. Una casa enorme, una catena di rivenditori di auto di lusso ed una famiglia perfetta. La differenza è netta. Ed è stato il primo passo che mi ha fatto drizzare le antenne.
Non voglio rovinarvi la sorpresa, ma è chiaro che la storia è quella del ritorno del Cobra Kai nell’assolata California e negli incubi di Daniel. Fosse tutto qui, sarebbe una tiepida operazione nostalgia con ben pigri showrunner al timone.
Al contrario invece chi ci ha lavorato, ha saputo capire che c’era qualcosa di più profondo e grezzo in quei personaggi che aspettava solo di essere tirato fuori. Al di là della consueta banalizzazione tra buoni e cattivi da pellicola anni ’80, qui emergono le sfaccettature di entrambe le psicologie. Daniel emerge per quello che era sin dalla prima pellicola, andate pure a riguardarvelo se non ci credete : una testa calda con la tendenza ad infilarsi in guai più grossi di lui. Johnny è di quelli destinati a finire male, una famiglia che compra tutta la tranquillità possibile ma non si preoccupa di domare le inquietudini più profonde. Il Cobra Kai era una via per emergere guastata solo da un maestro sbagliato che ha trovato terreno fertile in tutte quelle inquietudini.
Trenta e passa anni dopo assistiamo ad un ribaltamento del punto di vista incredibile. Johnny diventa il maestro, e sta a lui allevare una nuova generazione di vittime del bullismo. Un bullismo che lui non riesce a codificare. Vigliacco, che colpisce sull’immagine dei ragazzi rubandogli dignità attraverso i social. Un bullismo che raccoglie non uno ma decine di Daniel San nel suo dojo. Incapaci di difendersi contro un nemico invisibile e potente, cercheranno nella via del Pugno una rivendicazione.
Johnny Lawrence è un sensei migliore di quello che ha avuto ma, non di meno, non un buon sensei. Umilia ed è politicamente scorretto. Ci mostra come sia facile prendere una vittima e trasformarla in un carnefice. La prima stagione si snoda su episodi chiave che ricalcano perfettamente i punti principali della prima pellicola. L’umanità sfaccettata ed i ricorsi della vita fanno tutta la differenza. Il turbinio di eventi lascia solo con la voglia di volerne di più e ventotto minuti ad episodio sono l’ideale per la binge view.
C’è un ultimo elemento che mi piacerebbe raccontarvi. Nella sua semplicità, la pellicola originale trattava elementi delicatissimi (bullismo, divari sociali, i campi di concentramento per i cittadini di origine giapponese in America) e questa serie non è da meno. Cyber bullismo e crisi economica sono aspetti trattati al di là della semplificazione parodistica. La storia originale in fondo usava bene il canovaccio allievo – maestro che era stato proprio di Guerre Stellari qualche anno prima. Daniel e Miyagi erano un perfetto High Concept del binomio Luke e Yoda ed in alcune frasi il trucco emergeva senza fatica. Ricordate: non esiste provare, esiste fare.
Questa serie piacerà a chi ha amato la ciclicità di episodio VII sulla saga; la storia si ripete con un piglio testardo. Vediamo le stesse cose, anche quando sono diverse. In fondo, si sa, i cattivi hanno sempre le battute migliori.
Ed uscire dagli anni ’80 non è che sia così necessario.
PS : la serie piacque tanto da avere commissionata una seconda stagione e poi, dopo un passaggio di diritti, almeno una terza su Netflix.