La Sci-Fi classica non passa mai di moda. Può trascorrere lo spazio di una generazione, ma rispunterà. Pensate a Dune ed alla Fondazione di Asimov. E a quanto ci roda che questa orrenda pandemia, figlia anche lei di una brutta trama Sci-Fi, ci stia costringendo ad aspettare. Jeff Lemire, che è uno degli scrittori più prolifici e pacati della sua generazione si presta ad un racconto morboso ed allo stesso tempo asettico di un’astronave U.S.S. Montgomery, quasi alla deriva nello spazio profondo.
L’antefatto è quanto semplice tanto funzionale. La vita sul pianeta Terra sta finendo e quello che rimane è partire per le colonie, tanto richieste da iniziare una guerra sovranista con il pianeta madre. In mezzo ci finisce l’equipaggio della Montgomery. A causa di un incidente che non vi sto a spiegare tutti gli adulti finiscono in orizzontale. E a i bambini resta l’ingrato compito di portare la nave in un luogo sicuro. A loro, e ad una intelligenza artificiale chiamata Valarie.
Lasciamo da parte le considerazioni sull’AI, ci torneremo poi. L’ambientazione è calibrata alla perfezione. Il giusto mix tra il Signore delle Mosche e Passengers (si, proprio il film con Chris Pratt e Jennifer Lawrence). L’equilibrio che si viene a creare nella giovane ciurma è protettivo e tribale. Lemire, che è avvezzo alle trasfigurazioni televisive, probabilmente ha scritto ogni cosa per una mini serie televisiva. E l’ha fatto con ritmi perfettamente decompressi. La trama è il giusto mix di dramma e asetticità da fantascienza quasi retrò. Tutte le attività all’interno della nave sono svolte come se il XXi secolo non fosse mai arrivato. Saldature, mense, giardini pensili. Tutto potrebbe essere stato pensato da Kubrick. Lo stesso design che Walta pensa per tute spaziali e astronavi, appartiene ad un periodo in cui si poteva ancora avere fiducia nel futuro. E anche se nello spazio nessuno poteva sentirti urlare, si sapeva che il lieto fine sarebbe potuto accadere da un momento all’altro. Ecco qui non proprio. Finita la storia, non sono sicuro che ci sia qualcosa di lieto. La voce plurale narrante, anche lei in completa assonanza con uno stile ormai classico, ci lascia ad un finale ambiguo seppur vagamente positivista.
Ecco. Ora possiamo tornare a parlare della IA. Nel linguaggio fantascientifico moderno, se qualcosa va decisamente verso sud, la colpa è sempre loro. Queste maledette teste parlanti incapaci di comprendere fino a fondo la psiche umana. Qui potremmo dire tutto il contrario. Valarie diventa sin troppo materna e protettiva nei confronti della sua nidiata, al punto che ogni tanto viene da chiedersi se abbia installato a bordo un microchip emozionale come quello di Data. È interessante la scelta di non antropomorfizzarla, lasciandolo la sua presenza ad una luce blu, lascito abbastanza ovvio di quello che fu IBM 9000. solo ogni tanto riesce a trasferire la sua coscienza in Rover e braccia animate e quando lo fa, in genere, non succede nulla di buono. Di certo le leggi della robotica, nell’universo di Sentient non sono mai state scritte. O forse si, personificando la legge zero in qualcosa di adatto ad un piccolo nucleo di persone.
Il rapporto che si instaura tra Valarie ed i ragazzini è appunto l’elemento chiave della narrazione. Nel modo in cui li accudisce a come li fa crescere, è molto più umana dell’umano. sul finire, Lemire forse perde l’occasione di dare alla storia un twist più malato e nelle mie corde. Ma anche così la trama lascia spunti di riflessioni assoluti. E del resto, tradire l’ambientazione da Sci-Fi classica sarebbe stata una stonatura bella e buona.
Le matite di Gabriel Walta sono una sinfonia degli occhi. Di chiara ispirazione Franco Belga, presenta un mondo multietnico e tecnologicamente retrofuturista. Ma niente suggestioni da cyberpunk, sia chiaro. Sentient è proprio la storia di un futuro che non ci aspettiamo più.
Piccolo omaggio a Panini che opta per una edizione cartonata e gigante, il mio feticcio, lo so bene, ma che vira dalla proposta classica TKO, tipicamente relegata al mondo degli albetti singoli e delle raccolte in brossura.
Se cercate una storia adulta, slegata da un contesto più longevo ed opprimente, ma che allo stesso tempo vi lascia la voglia di averne di più, Sentient fa al caso vostro.