C’è un richiamo insito nei racconti di viaggio che sfiora corde delicatissime dell’animo umano. E in quel momento la mia natura nomade prende il sopravvento. In fondo l’idea di essere in viaggio, uno zaino, pochi libri, un quaderno e vestiti il giusto, rappresenta una metafora dell’esistenza. Dal prologo all’epilogo attraverso territori impervi per piedi e per cuori. Pronti a tutto, pronti ad ogni incontro, perché si sa che quando si viaggia, i legami che si intrecciano sono più stretti degli altri. Pensate a Corto Maltese. Si porta dietro quel satanasso di Rasputin da una vita intera. E anche se s’ammezzerebbero volentieri, finiscono sempre abbracciati. O forse era il contrario.
Ed è con questi presupposti che Emmanuel Lepage, fumettista transalpino con il dono magico di saper catturare le anime con pochi tratti di carboncino, ci racconta un viaggio a bordo della Marion Dufresne attorno all’arcipelago della Crozet e all’isola Kerguelen. Posti che ridefiniscono il concetto di confine del mondo. Battute dal vento, fredde, spopolate. Basterebbe questo a scoraggiare la maggior parte dei visitatori. Invece la chiave è proprio quel volersi disconnettere dalla realtà, dalla società, per poterla guardare da lontano e rimettere tutto nella giusta ottica.
Anni fa, in un viaggio in Norvegia, notai che vicino un piccolo paesino sul mare, a ridosso di un fiordo, era stata costruita una casa, poco più di un capanno di caccia, lontano da tutto il resto. Perché? – chiesi alla mia guida. È per quando qualcuno si stufa di stare in mezzo alla gente e vuole godersi un po’ di silenzio – mi rispose con l’espressione di chi sapeva che non avrei potuto capire. Ed era vero. A due ore di macchina dal primo centro abitato, un paesino di una trentina di case, eppure qualcuno che sentiva il bisogno di isolarsi.
Lo capisco ora, che il peso degli anni non controbilancia più il rumore di fondo della realtà. Lo capisce bene chi, sull’arcipelago della Crozet ci ha costruito delle piccole comunità. Scientifiche perlopiù, alla costante ricerca di qualcosa che possa permettere a tutti di stare meglio. Emmanuel Lepage intraprende questo viaggio ispirato dalla necessità di conoscere. Ha letto sin da bambino di quei posti, ne sentiva i genitori parlare e si è informato. E gli capita la possibilità di poter seguire gli spostamenti di una nave rifornimenti che si occupa di portare viveri e carburanti per alcuni insediamenti e dare il cambio ad alcune spedizioni. E’ un lavoro impervio, contrastato da condizioni climatiche avverse e da alcune piccole sfortune, tipiche di chiunque viaggi. Ad un certo punto qualcuno surgela le verdure che avrebbero solo dovuto conservare in frigo. Sembra una stupidaggine, ma riduce drasticamente la possibilità delle piccole comunità di poter sopravvivere senza il giusto apporto vitaminico. E ci rendiamo conto, nell’immediato, che non stiamo assistendo ad un viaggio di piacere, che se la Dufrense fallisce, la gente muore.
Raccontare le spedizioni scientifiche moderne, significa anche raccontare le esperienze passate di quelle isole. Il loro passato di piccole raffinerie e di rifugi per pescatori. Lepage si documenta con dovizia e ne racconta i dettagli salienti con maestria ed un tratto classicamente virato in seppia. Lo stile grafico è alternato, contribuendo ad un buon ritmo di lettura. Ci sono gli acquerelli, fatti sul posto, meravigliosi, dove la natura rigogliosa prende possesso delle tavole. Poi arrivano i ritratti fatti ai membri dell’equipaggio, alle persone conosciute, che gli raccontano la loro vita in cambio di un piccolo pezzo di strada fatto assieme. Il fatto che ognuno di questi sia poi firmato dal soggetto sottolinea la veridicità di tutta la spedizione ed emoziona. Perché in quello che potrebbe essere quasi banale routine, un viaggio in nave per consegnare pacchi, ci troviamo il bisogno umano di sopravvivere. E poi c’è la storia vera e propria, raccontata una volta tornato a casa, Lepage impiegherà quasi tre anni a disegnarla tutta in un bianco e nero forte, diluito in tinte di grigio, spendendosi nella spuma delle onde e nei dettagli del ponte di prua. Il resoconto, quasi naturalista, indaga sull’animo umano, si incuriosisce sull’impatto che l’uomo ha avuto su questa terra incontaminata. Ed è interessante perché sintomatico. L’uomo ha avuto impatto sulla biodiversità di quegli ambienti. Ma anche tornando indietro fa degli errori. La reversibilità delle proprie azioni è seriamente compressa. E questa è una calzante metafora dell’animo umano.
E Lepage racconta senza inibizioni, ci parla dei sentimenti delle persone che stanno lontani da tutti gli affetti per mesi. Ci parla di mal di mare e di mal di terra. Ci racconta della necessità, drammaticamente umana, di prendere lo zaino e rimetterci in viaggio.
E come alla fine di ogni viaggio, porti ad un altro viaggio da ricominciare (Grazie Principe!) .
L’edizione Tunuè a pagine giganti è preziosa e ci permette di assaporare questa storia dal sapore primordiale ma anche terribilmente al passo coi tempi. Una sola preghiera, l’anno dopo, La Page pubblicò una storia con un suo reportage a Chernobyl. Per favore, pubblicatela quanto prima!