Questi ultimi scampoli di 2020 fanno in tempo a portarci un nuovo numero di Samuel Stern e, in questi innevati pomeriggi milanesi, leggerlo è un sollievo notevole. Si tratta in effetti di un episodio molto coraggioso che, per una volta, porta Samuel lontano dalla sua comfort zone, ma con una precisione stilistica davvero notevole.
Diciamo, prima di tutto, che doveva succedere. Dopo aver incontrato Singularity in un paio di occasione, era abbastanza chiaro che l’universo Sterniano fosse popolato da un vasto bestiario esoterico che sconfinasse ben oltre il sentiero della demonologia. Spinto da un Angus (su cui il velo di mistero si squarcia finalmente lasciando intravedere …altro mistero!), il nostro si intrufola in una storia che ha tutti i contorni della ghost story alla Montague Rhodes James ma che, scopriremo, cela ben altre attitudini. La premiata banda Filadoro-Fumasoli-Savegnago spinge infatti Samuel in un dramma dalle atmosfere algidamente nordiche dove i sentimenti, o meglio, l’assenza degli stessi, sono un sintomo di un malessere che cova celato nel germe della creatività. Samuel viene contattato dalla preside della Pernath School of Art & Craft, un’istituzione avanguardista dove giovani studenti possono imparare ad esprimere se stessi attraverso un percorso che prevede le classiche lezioni di scultura, pittura e cabala. Ecco. Appunto. La percezione dell’altro è subito netta. Sin dall’inizio siamo portati ad un complesso gioco di specchi dove la realtà assume connotazioni che non le riconosciamo. Samuel deve fingersi professore. La scuola, sita sul sito di un vecchio Athanor di Negromanti, cela laboratori nascosti in piena vista. E l’indagine, basata sull’apparizione del fantasma di una studentessa morta suicida condurrà ben presto ad un gioco di gioco di specchi morboso e letale.
Come vi dicevo, l’atmosfera è cupa, dilatata. Ambientata in una notte tempestosa, la vicenda non sfigurerebbe in un dramma esistenzialista scandinavo. Ed infatti, non si può ignorare il rimando al Fritz Lang di Metropolis. Sin dal titolo, Simulacri, fino ad uno dei colpi di scena più disturbanti di tutta la saga, il concetto del doppio riflesso viene incanalato in un terribile gioco di scambi che racconta senza il fardello di una spiegazione ammorbidente. È un discorso che abbiamo già fatto altre volte, la conoscenza esoterica che sta alla base di tutta la saga è impressionante, ed i riferimenti che compaiono in queste pagine sono molteplici e strutturati. Uno, il tulpa citato anche da Neil Gaiman, mi ha stretto davvero il cuore. Sto realmente cominciando a pensare che le nuove sceneggiature di Samuel Stern vengano concepite in stanze illuminate da fioche candele con un Fumasoli, cappello con pentacolo d’ordinanza, intento a stipulare patti faustiani per portarci la dose mensile di angoscia ed orrore! Scherzi a parte, siamo di fronte ad uno degli episodi più maturi della saga, e, mettere Samuel per la prima volta a confronto con qualcosa di altro è un grande riscontro. Fallire ora avrebbe significato avere un pony da un solo trucco. Avere successo con una storia così priva di sbavature e funzionale come un meccanismo d’orologeria delicatissimo è un dono raro.
Le tavole di Matteo Mosca ci restituiscono un contraltare grafico incredibilmente dettagliato e carico di espressività. Non voglio anticiparvi più del dovuto, ma le tavole della sequenza finale mostrano una regia perfetta, scandita da inquadrature fluide e tempi precisi. Un plauso alle espressioni, di tutti i personaggi, dettagliate, sensuali, infinitamente umane.
Abbiamo davvero da aspettarci un sacco di grandi cose da questo Samuel Stern.