Come molti di voi in questo periodo mi sto dedicando, tra le altre cose alla saga di Kindred, sulle pagine del vostro affezionato Uomo Ragno di Quartiere. Seguendo la serie in originale sono un po’ più avanti e, malgrado alcuni spoiler abbiano portato anche qui il segreto dietro l’identità di Kindred non vi rivelerò molto a parte il fatto che lui è…
…un personaggio molto presente nelle storie dell’Uomo Ragno. (credevate eh che avrei potuto spingermi oltre e spoilerarvi il nome, eh? Nooo, non arrivo a tanto…).
Però, come potrete leggere dal numero in edicola la prossima settimana, la saga vedrà protagonista una grande varietà di personaggi con un ragno sul costume : Madame Web, Ghost Spider, Spider Woman (1 e 2) , Silk e Miles Morales. Il che mi porta a due considerazioni particolari.
La prima, abbastanza scontata, nell’ultimo periodo, soprattutto grazie al multiverso, o meglio, allo spider-verse cartonesco, c’è stato un proliferare abbondante di personaggi legati al mondo del ragno. Non faccio mistero di apprezzare la nuova versione di Gwen, non tanto perché così posso leggere le avventure di una Gwen contemporanea che non ha figli dimenticati con Norman Osborn (Grazie J. MIchael!) , ma perché, nom de plume e costume sono spettacolarmente ben riusciti. Ma tolto questo, cominciano ad esserci troppe persone ragno. Tanto che si fa fatica a distinguerle o a tener tracce di tutti le vite passate.
E questo ci porta al secondo punto : la tela della vita e i poteri totemici. Ovviamente sono uno una conclusione dell’altro. E ancora una volta bisogna riprendere in considerazione quel momento, per fortuna cancellato, o comunque modificato da Soltanto un Altro Giorno, dove il caro vecchio J Michael Straczynski introdusse questa variante al mito di Spider-man. Tralasciamo il fatto che lui fu capace di rivendersi la stessa storia in due distinte occasioni, visto che anche nei Fantastici 4 c’è un suo arco narrativo dove si spiega che i Fantastici Quattro guadagnarono i loro poteri, ma sarebbero potuti essere soltanto loro a farlo. E allo stesso modo, dalla conversazione che ai tempi Peter Parker ebbe con Ezekiel, emerse che nessuno aveva mai fatto un’autopsia al ragno radioattivo che lo morse. Che quindi, i suoi poteri erano sempre stati là. Da là, una sequela di imbarazzanti scene in cui piccole creaturine ad otto zampe cercano di comunicare qualcosa a Peter. Cosa che, essendo Straczynski uno sceneggiatore televisivo poteva funzionare con Spider-man the tv show, se negli anni ’90 ci fosse stato un TV show. Ma che perde parecchio mordente quando si va a rimescolare le carte di uno dei supereroi più riconoscibili nel mondo (prima ancora del famigerato MCU).
Non è una questione di accettare il cambiamento. Se leggete le storie di Lee e Ditko, è chiaro che l’evoluzione del personaggio è evidente e che Stern, come Spencer, hanno lavorato al canone ingigantendolo, ma non tradendolo.
Il Peter Parker di Straczynski, come in un certo modo quello di Slott, tradisce un punto critico terribilmente importante. Peter è l’essenza del ragazzo tappezzeria. Insicuro, serioso, inetto socialmente. La sua trasformazione, nell’essere così democratica, è la rivalsa di tutti i nerd (passatemi il termine abusato!). Leggere che chiunque è distante solo un piccolo cambiamento da essere un personaggio così spettacolare o sorprendente rende immediato il processo di immedesimazione. Avergli tolto quella la possibilità equivale ad avergli dato i Midiclorian.
Il concetto di predestinazione, lo sappiamo da millenni, rende i personaggi più interessanti, ma molto, molto meno empatici. Il che, se non altro, li porta a livello degli eroi golden age DC comics, e 30 anni indietro rispetto a tutte le intenzioni di Stan Lee e del Bullpen Bulletin.