Il nuovo albo, Nel Profondo, arriva dopo un trittico di storie che hanno espanso i confini dell’universo Sterniano, definendo alcune nuove caratteristiche e spostando l’asticella parecchio più in alto. Con il numero 15, Samuel ritorna in un territorio familiare, quello delle possessioni demoniache e la sensazione principale è quella di un ritorno a casa dove qualcosa non va proprio a fuoco.
E questa sfocatura, per essere precisi, è esattamente l’elemento chiave di tutta l’infrastruttura narrativa di Samuel Stern. Ormai dovrei averlo capito, le storie che sono capaci di sfornare in Bugs non si fanno trovare mai dove le si aspetta. E questo fa di Samuel Stern un fumetto di avventura sui generis, con ben pochi cliché e, a quanto pare, una riserva quasi inesauribile di colpi di scena.
In questo episodio, Samuel e Duncan vengono convocati in un paesino sperduto della Scozia dove sembra che un buon cristiano (in realtà un buon Cattolico!) si è fatto trovare preda di una presunta possessione demoniaca in un club a luci rosse che non avrebbe sfigurato in Eyes Wide Shut.
La lussuria, è uno dei sette peccati capitali, e quindi potremmo facilmente ipotizzare come possa andare a finire. Ma come vi dicevo, in questa storia, non c’è nulla come lo si aspetti e, infatti sembra che il povero cristo, sia davvero un devoto marito in preda ad un disordine dissociativo per cui è in cura da uno psichiatra, Philip Robertson, di cui sentiremo di nuovo parlare.
Ci troviamo di fronte ad un contrasto evidente che viene però sfiorato tangenzialmente. Scienza e Fede. Studio della psiche contro percezione di un male esteriore. La possessione interpretata e curata come una nevrosi dissociativa, un modo per seppellire in un angolo della mente le nevrosi e le frustrazioni della vita e dar loro libero sfogo solo in determinate condizioni. Chi di voi segue Samuel sin dalle prime pagine, sa bene che, in fondo, è proprio questo il meccanismo che dà origine ai demonietti che popolano il suo universo. Ed è qui che avviene il corto circuito sviluppato da Francesco Vacca. Non voglio farvi alcuno spoiler ma vi posso garantire che, ancora una volta il modo in cui la storia porta ad una risoluzione ha il meccanismo ad orologeria di un giallo ed un twisted finale che potrebbe essere degno di Philip K. Dick.
Quello che accade è oltremodo angosciante, ma, lascia di stucco. Perché al di là della costruzione perfetta, vengono presentati tre fatti in rapida successione nelle ultime venti pagine ed è un continuo scoppio di fuochi d’artificio. Il primo, non posso proprio raccontarvelo, altrimenti sarebbero gli spoiler che vi ho promesso che non avrei fatto. Il secondo, se sapete leggere tra le righe, potreste averlo intuito. Ma vi assicuro che inserisce un’altra tessera, enorme, nel mosaico delle storie di Samuel, implementando in materia notevole il terreno di gioco dei prossimi albi. L’ultima, ed è una frase che è comparsa in parecchi post della Bugs degli ultimi giorni, Samuel fallisce. Non miseramente, perché in realtà fa tutto quello che va fatto e lo fa anche bene. Ma questa volta non è abbastanza. E non vedo l’ora di scoprire gli effetti collaterali di questa cocente sconfitta. Uno, lo individuo già da solo, Samuel ci viene mostrato ancora una volta come un personaggio umano, complesso e fallibile. E per questo terribilmente empatico.
Le tavole di Pietro Vitrano ci mostrano volti carichi di tensione ed uno studio delle espressioni che in alcuni tratti ricorda Magnus. La resa degli esterni è carica di dettagli, ed i momenti ricchi di pathos sono inquadrati in una sequenza di splash pages esteticamente impeccabili.
Samuel si mostra ancora una volta come un personaggio pregno di cultura esoterica e di dettagli che non vengono colti alla prima lettura e che fanno desiderare di leggerne sempre di più.
Non mi credete? Andate a scoprire cosa c’è dice Greg Dunbar in greco antico, una volta vittima della ‘possessione’…