Scrivere del gigante di Giada è difficile. Bisognerebbe affrontare studi di psichiatria come Peter David o magari lasciarsi trasportare dal trasformismo delle carni alla Go Nagai, come fa Al Ewing nella collana Immortal. Altrimenti bisogna fare i conti con trent’anni di pubblicazioni in cui la massima implicazione letteraria che è toccata in sorte ai suoi autori è stata : Hulk Spacca!
Facciamo un passo indietro : Stan Lee, autore deliziosamente pop, voleva creare la sua versione del mostro di Frankenstein che fosse però anche un po’ mr Hyde. Le complicazioni sarebbero arrivate molto più tardi quando toccò ad altri scrittori comprendere che quello che muoveva il colosso verde era il bambino dentro. Un primordiale bisogno di essere accettato e compreso. Intanto era arrivato anche il telefilm (all’epoca non si diceva serie TV): quello con Lou Ferrigno dipinto di verde che compariva con i vestiti stracciati e Bill Bixby che si allontanava in solitudine alla fine di ogni puntata con una musica melanconica di sottofondo. Il concetto del viaggio on the road, di essere lontani da tutti, cacciati eppure sottoposti alla costante volontà di voler fare del bene.
Elementi abbandonati negli anni ’90, ma non dimenticati. Anche perché nel mezzo era successo il pandemonio della generazione Image. Storie semplificate, splash pages con personaggi da ottantacinque denti e dialoghi monosillabici. Insomma, nella maggior parte dei casi, ‘Hulk Spacca’ era quasi una spiegazione dotta.
La Marvel, che non navigava propriamente in buone acque, sfruttò l’opzione reboot per cercare di traghettare nel nuovo millennio le sue IP di maggior successo ma che, non essendo titoli mutanti, vendevano poco. Così, dopo il fattaccio di Onslaught , Fantastici Quattro, Capitan America, Hulk e Iron Man si ritrovarono in un universo tasca creato da Franklin Richards dove le loro origini vennero saldate ancora di più e affidate proprio alla generazione Image : Jim Lee, Whilce Portacio , Rob Liefeld. Nacquero così i cavalieri atomici della tavola rotonda, Reed Richards, Tony Stark e Bruce Banner tutti compagni di corso all’università. Insomma, sarebbe potuto essere un prototipo della linea Utimate ma non ne ebbe un briciolo della fortuna e dopo un anno venne lanciato il Ritorno degli Eoi dove tutti i personaggi principali ritornavano alla loro quieta esistenza.
Quieta per modo di dire, per modo di dire perché al gigante di Giada toccò in sorte John Byrne e Ron Garney e, l’idea appunto, di un ritorno alle origini basatosi proprio su quel telefilm con la musica triste e la vernice verde. John Byrne in undici episodi più un annual spedisce Bruce Banner sulla strada, con un Hulk ancora più sconnesso e rabbioso. All’inizio della sua saga succede qualcosa di terribile. Qualcosa che, incredibilmente, non era mai accaduto in tutti questi anni di spaccamenti : Hulk fa delle vittime.
Potrebbe quasi trattarsi di un tentativo di un revisionismo ma, in realtà, si tratta di una massiccia storia di inseguimenti con un antagonista misterioso che scopriremo essere una vecchia conoscenza. Solo che, nel frattempo, Bruce Banner dovrà attraversare l’America braccato dai Vendicatori, la Cosa e persino il Wolverine regredito senza adamantio che compariva ai tempi.
È una fotografia interessante quella che Byrne scatta, l’Universo Marvel poco prima che tutto cambi completamente nel nuovo millennio. Un tentativo di restare connesso alla grandeur degli anni ’80 intanto che la decompressione stilistica sviluppata dalla nuova generazione di autori prendeva piano piano possesso delle pagine a quattro colori.
La Panini sta ripubblicando tutto il materiale del Ritorno degli eroi in eccellenti volumi di grande formato. Dopo i Fantastici Quattro ed Iron Man (la run dei Vendicatori di Busiek e Pérez è stata già pubblicata in quattro volumi qualche anno fa) arriva questo volume in grande formato con tutta la run di Byrne incluso l’annual disegnato interamente da lui.
Si tratta di materiale non pubblicato in Italia da diverso tempo per cui la raccolta in cartonato assume anche un valore documentaristico particolarmente importante.