Peter Kuper è un autore raffinato, scrive regolarmente sul New Yorker e su Mad e non disdegna l’approfondire le sue passioni nei romanzi grafici. Succede così per questo adattamento di Cuore di Tenebra di Joseph Conrad, composto con la curiosità di chi vuole affrontare l’uomo prima del personaggio. Cuore di Tenebra è il classico della letteratura che per definizione indaga la pazzia, e che è alla base di quel capolavoro del cinema mondiale (soprattutto in edizione estesa, please) che risponde al nome di Apocalypse Now.
Ma che nel 1975 è stato anche accusato di razzismo da Chinua Achebe. Lo stesso Kuper, che si documenta e ne scrive buona parte nel suo buen ritiro di Oxaca, non può fare a meno di vederlo in un un’ottica moderna e si rende conto che la visione del mondo è per forza diversa. Ma a quel punto che fare? La damnatio memoriae come sta facendo in certo senso la Disney con i suoi cartoon classici non sembra una buona idea. Ovvio, gli stereotipi vanno affrontati ed indicati, ma bisogna anche partire dal presupposto che in un buon libro, oltre gli stereotipi si nascondono per forza anche le buone idee. Kuper, che ad un certo punto del suo processo di preparazione è pure caduto malato e quindi con un delirio che ricorda molto da vicino quello di Kurtz si è dedicato ancora di più ad approfondire alcuni dettagli della storia, non ha potuto fare a meno che addentrarsi nel viaggio all’interno del fiume Congo e della mente umana. Se devo essere sufficientemente onesto, quest’ottica ossessiva si ripercuote all’interno della struttura narrativa quanto le ritmiche dei tamburi celati dalla foresta.
Il viaggio di Marlow nella pazzia segue le tappe del romanzo originale. La claustrofobica Europa, costretta nelle sue convenzioni e burocrazie strutturate e l’Africa, incontaminata, selvaggia, definitivamente pericolosa.
Marlow intraprende il viaggio di recupero di Kurtz, perché Kurtz è un uomo notevole (il termine viene ripreso almeno tre volte solo nelle ultime pagine del libro), e sicuramente destinato a grandi cose. Il problema di Kurtz, e di Marlow dopo di lui, è che si è addentrato molto in profondità nel meccanismo della realtà. Tutto quello che l’Europa fa e consuma, se lo può permettere perché le risorse dell’Africa vengono piano piano dissolte, assorbite, deturpate. Nessuno ci fa caso veramente, ma è quello che succede con il colonialismo e più tardi col liberismo.
Occhi moderni non possono distogliere lo sguardo da una meccanica politica che ci ha portato ad un regime consumistico sfrenato, esaurendo gradualmente tutte le risorse fino a renderci tutti, terribilmente inferociti. Ed io stesso leggendo queste pagine non posso fare a meno di pensare. Kurtz è un uomo notevole perché recupera più avorio di tutti gli altri fornitori e lo fa a qualsiasi costo. Perché questa necessità? Per la febbrile ossessione di avere mobili più raffinati? Per credersi superiori solo per la capacità di spendere in frivolezze?
Cuore di Tenebra non è una metafora del consumismo, anche se per estremi, tocca pure quel tema. Ma è uno studio attento sull’umanità, sul capirne le regole insite che la fondano, e come trasforma in maniera incontrovertibile andare troppo a fondo.
La battuta finale di Kurtz riassume alla perfezione il concetto. Quell’orrore che lui vede. Di riflesso lo osserviamo anche noi. Lui si è spinto oltre, ma tutti sono destinati a seguirlo. A suo modo un Achab africano.
Ora, il problema con questo adattamento, se vogliamo, è un altro. È Kuper a poggiare gli accenti su questa parabola del colonialismo permettendoci di osservarla con maggiore estensione, o si è sempre trovata la?
Domande che vanno cercate nelle tavole di un bianco e nero ossessivo, dove il tratteggio riassume la cupezza e la morbosità di chi vuole andare oltre il fondo di quell’orrore.
PS un applauso a scena aperta va necessariamente a Tunuè per aver confezionato una graphic novel impeccabile, curata in ogni singolo dettaglio e del tutto piacevole da collezionare, leggere, avere in casa.