Certe giornate cominciano male. Altre sono una rivelazione.
Comincia male quella di Dylan Dog. Che deve pagare una multa di seimila sterline per una noncuranza di Groucho. Ed è forse il primo segno che questo albo contenga i semi di qualcosa di differente. Dylan perde le staffe, lo fa in buona fede, ma le perde di brutto. Groucho è così costernato da non riuscire a finire una battuta, anzi rimane proprio zitto.
In questo si inserisce l’impianto narrativo basato sulla marionetta di Mr Punch. Non fatevi ingannare, si tratta proprio di una derivazione di Pulcinella, arrivato in Francia e poi trasformato in Punchinella in Inghilterra e alla fine, nasce lui Mr Punch, personaggio diabolico, protagonista assoluto di uno show di marionette diffuso in tutto il regno unito.
Lui risponde ad un bisogno ancestrale dell’essere umano. Perché ridiamo quando vedere qualcuno che si fa male? Immaginate i video delle persone che inciampano o che sbattono la testa. Ridiamo, ma quanta cattiveria c’è in quella risata? E soprattutto, che succederebbe se a farsi male fossero le persone che ci rendono la vita complessa, irrespirabile, che a loro volta ci fanno lo sgambetto e se ci tendono la mano è solo per appesantirci.
Con un meccanismo alchemico ad orologeria, Giovanni De Feo, risponde a questa domanda. Se lo vogliamo veramente, il Mr Punch di questa storia si prende quelle persone, cancellandole dalla memoria di tutti tranne che dalla nostra. In modo tale che ci resti tutto il tempo del mondo per capire come l’assenza possa essere graffiante e dolorosa. Succede a Dylan, perché in un impeto di rabbia fa sì che Groucho stesso finisca nel carosello diabolico di Punch e poi da buon coccodrillo resta a piangerne l’assenza.
Quella del patto col diavolo dove i cavilli e le postille ci costano più di quanto vorremmo guadagnarci è una concezione faustiana ma che qui si carica di un contesto fortemente psicanalitico.
A tre quarti della storia Dylan e Groucho si abbandonano a un sipario di meta fumetto (la scena è perfettamente funzionale e non abusata, non temiate concetti scontati) sul ruolo di Groucho stesso nel complesso equilibrio delle storie di Dylan. Non c’è nulla di banale, e sei mesi fa, sulla serie regolare ci siamo tutti chiesti la stessa cosa. La risposta arriva qui, ed è inequivocabile.
Un’ultima considerazione sul potere della risata. Quando deride i potenti, è satira ed è liberatoria. Ma nel momento in cui anche il potente si trasforma in vittima e debole diventa vile e prevaricatrice. Dylan prova ad affrontare l’essenza stessa di Mr Punch con la logica e si ritrova schiacciato dal peso delle risate, trasformando tutta la sequenza in una armoniosa metafora della nostra società. Ormai lo diamo per scontato, no, chi dà dimostrazione di essere informato e dice cose, magari pesanti, ma vere, verrà bollato a vita, col marchio del professorone. E se a quello lo stomaco si contorce, per tutti gli altri, la risposta di stomaco sarà la sola possibile.
Le tavole di Rincione poi. Cosa dire? O meglio, cosa non dire? Dipinte, astratte, dadaiste. Il richiamo più profondo è quello di Dave McKean, ma sarebbe ingiusto fermarsi là. Giulio disegna scenari sconfinati, tende da circo solitarie che si stagliano contro cieli azzurri. Del palco ci fa sentire l’odore di polvere e coppale. Di Mr Punch tutta la diabolica cattiveria. C’è una scena, ambientata in un appartamento, che è straziante per come graficamente ci fa desiderare di metterci le mani davanti agli occhi.
La cura che Giulio Rincione infonde alle tavole è maniacale e allo stesso tempo un atto d’amore, non c’è un solo dettaglio fuori posto, l’alternanza di stili è perfettamente fluida e raramente si è visto un Dylan così fiabesco e vulnerabile.
Sono pagine che meriterebbe di essere stampate su carta patinata di un volume gigante. Perché il lavoro di Giovanni e Giulio merita solamente applausi a scena aperta.
Come dicevo, alcune giornate cominciano male. La mia, oggi, è stata una dolcissima rivelazione.