Doveva succedere. C’è un limite oltre il quale montare un mistero diventa fine a stesso e se ne perde la logica insita. Sapevamo praticamente dal primo numero di Samuel Stern che qualcosa di terribile fosse accaduto alla moglie che di conseguenza avesse portato lui a tenere lontana la figlia. Certo, per proteggerla, ma privando entrambi dell’affetto reciproco.
Con il processo Stern, numero in edicola in queste esattissime ore, una parte del velo si dissolve e scopriamo qualcosa di talmente doloroso che avrei preferito fondamentalmente evitare. E se pensate che si tratti della fine di Madison, vi sbagliate. E di grosso. Che ci fosse una palla curva lanciata dalla Vita in quella pagina bianca del suo passato era da darsi per scontato. Leggo fumetti da tempo a sufficienza per non empatizzare ma anche per comprendere che la fatal blow c’è ma ancora più in profondità.
Quello che invece mi ha attanagliato per l’albo è il senso di angoscia e di colpa che Samuel si trascina nei confronti di tutte le persone che ha incrociato. È qualcosa si sopito, certamente, ma che in questo episodio viene eviscerato in maniera profonda e letale.
Quando ci troviamo davanti ad avventure come quelle che capitano al nostro, sappiamo bene che ci saranno vittime, qualcuno che ci rimette e magari dei parenti che nutrono rammarico, o un semplice desiderio di vendetta. Ma, in genere, tutte queste cose accadono dopo la fatale scritta ‘fine dell’episodio’ ed il rischio grosso è che non vengano calcolate. Aggiunte all’economia di una serie horror, per forza, ma senza valutarne il reale impatto nel quotidiano del personaggio.
Essendo Samuel Stern un personaggio che vive una serialità concreta, parzialmente revisionista se vogliamo, per la prima volta assistiamo al processo di un esorcista dove tutte, proprio tutte le vittime che Samuel ha lasciato lungo il suo percorso, sono chiamate a testimoniare, lasciando intendere che la strada di sofferenza che ha cominciato a percorrere non possa o debba essere lasciata impunita.
La struttura delle storie di Samuel, abbiamo imparato a conoscere, è legato ad un sistema di camere concentriche dove nulla è come sembra essere alla prima apparenza. Ovunque sia, Philip K Dick sorride contento. E anche in questo caso ci troviamo a scoprire che c’è un senso logico più ampio e concreto dietro questo processo e che il j’accuse finale potrà essere una tagliola dagli effetti sorprendenti. Non posso darvi dettagli troppo particolari, altrimenti, rischierei di rovinarvi la sorpresa, ed in questo caso l’argomento è incredibilmente delicato.
Sono piacevolmente consapevole però, che Francesco Vacca ha evitato accuratamente una mossa che avrebbe portato enfasi notevole alla storia ma che avrebbe contribuito a peterparkerizzare , perdonatemi il neologismo, il nostro. Ma allo stesso modo assistiamo alla scena che tutti aspettavamo, una sequenza lunga del passato di Samuel e scopriamo cosa accada a Madison.
Non fatevi condizionare dal mio precedente cinismo. La sequenza in sé è ben scritta e contribuisce ad approfondire la psiche del personaggio. Ma non è nell’origine ma nell’atto in sé che scaturiscono le lacrime, nelle ultime parole tra marito e moglie. Parole che riecheggiano anche nel presente della storia. Alla fine siamo noi che decidiamo chi portarci appresso e chi no. E questo ha davvero il suono di investitura per Samuel. Non lo sappiamo ancora, ma probabilmente sarà proprio quell’insensato atto ed il conseguente senso di colpa a portare il personaggio a divenire quello che già conosciamo. Ovviamente, c’è dell’altro. Abbiamo appena visto la punta dell’iceberg, ma il passato deve essere ancora essere smascherato con maggiore profondità. E per quello, bisognerà aspettare.
La parola definitiva va poi a Luigi Formisano che ha saputo infondere personalità sia contesto ma, più di ogni altri a Samuel. Il suo è un Samuel pulsante, burbero, che prende facilmente fuoco. Inserito in un contesto carico di insidie, dove ogni ombra rappresenta un ingresso per quel pozzo colloso e tetro dove abitano i nostri demoni.
L’angoscia della prima parte della storia è straziante. Come ci si sente a vedere trasformate le tue verità in menzogne da in pazzi e impostori? Parafrasando l’immortale Se di Kipling.
Cosi ci si sente.
Doveva succedere. Ed è (un) successo.