Arrivo in ritardo di un paio di giorni sull’argomento, e vorrei essere preparato al meglio. Eppure mi rendo conto che su un discorso del genere non si potrebbe essere completamente preparati mai. Perché credo in fondo che per comprendere appieno le dimensioni del concetto di cancel culture, da dove arriva e dove stia andando, bisognerebbe essere stati messi all’angolo, adocchiati come simboli da stigmatizzare e deridere per almeno un quarto d’ora della vostra vita. E ve lo garantisco, dopo 16 minuti avreste il fumo alle orecchie pure voi.
Non è questione di ‘non poter dire più nulla’ o peggio ancora ‘di farsela una risata’. Io una risata me la faccio quando voglio, con chi voglio. Se vedo qualcuno, che per etnia, genere od orientamento politico, religioso o sessuale che viene preso in giro, mi salta la mosca al naso. Certo aiuta il mio percorso. Chi mi conosce dal vivo, o chi segue i miei video probabilmente non ha dubbi. Ad essere quello sovrappeso e con gli occhiali, nella vita si fa un po’ più fatica ad essere ascoltati di quelli belli e e sorridenti. E se quelli belli e sorridenti reggono l’occasionale battuta, bè aiuta che la battuta in questione sia occasionale. Prendetene uno, che le battute su un determinato argomento le ha sofferte per tutta la vita e vedete quanta voglia ha di ridere.
E non stiamo parlando nemmeno di roba troppo seria. Alla fine, posso dimagrire e voi che fate battute sarete sempre delle clamorose teste di cavolo.
Ciononostante, vuol dire che la cancel culture debba vincere? Che si debbano cancellare i baci necrofili del principe Azzurro e cancellare tutto quello che è ritenuto offensivo? No, non ci si riuscirebbe probabilmente. Anche perché, una volta che si comincia a cancellare, bloccare, riraccontare, chi mette il limite? Ci sarà sempre qualcuno che si sente escluso.
Molto più importante sarebbe spiegare, educare, far crescere le persone in maniera da comprendere, magari, che determinati elementi del passato possano essere funzionali come elementi narrativi del principio del XX secolo, o anche prima, ma non necessariamente si accordano alla nostra epoca. Meglio ancora sarebbe cominciare a far crescere i nostri figli insegnandoli che discriminare non serve a niente, che fintanto che ci sarà un ‘noi’ e un ‘loro’, ci sarà sempre qualcuno che avrà la risata a suo carico.
Su una cosa Michele ha ragione da vendere : bisogna dialogare, spingersi oltre i nostri confini e provare a comunicare con l’altro, irridendo i limiti e mostrandoci perfettamente capaci di incontra e spiegare il diverso. Magari anche conviverci.
Il punto, semmai, come farlo nella vita di tutti i giorni, come mettere in pratica queste semplici parole. Non voglio illudermi, ma non vogli nemmeno temere che alla fine siamo rimasti una massa di Neanderthal alpha, per cui si deve irridere quello che è lontano dal branco tanto per amore di quella famosa maledetta risata.
Semmai la mia perplessità rimane in quella zona d’ombra, quel sottile restare vigili sul cosa si può dire e sul cosa non è socialmente accettabile o persino offensivo. Perché non credo che ci sia un unico modo di impartire il rispetto a tutti. Tutti hanno il rispettivo metro di giudizio, tutti hanno vissuto esperienze dirette che hanno modificato anche radicalmente il proprio senso della misura. E non credo che debba esistere anche in tempi estremi come i nostri un garante su quello che si può esprimere. Semmai dovrebbe essere ammesso il diritto di replica, la capacità di dire, a testa alta e sguardo fisso ‘stronzo, hai detto una cagata!’ Ma anche quello renderebbe tutto un far west.
Forse, come qualcuno asserisce, dovremmo smettere di voler cercare la leggerezza a tutti i costi. Dovremmo affrontare la pesantezza dello studio e delle opinioni, e rendere conto che l’eccesso di banalizzazione, forse, è la sola cosa che dovrebbe essere cancellata.