Maestrale e scirocco sono venti che soffiano in direzioni contrapposte. Difficilmente discernibile, fautori di mal di testa e di grossi cambiamenti. Lo scirocco cui allude Giulio Macaione fa parte di questa categoria, oltre ad essere un locale nella laguna più suggestiva d’Europa. La storia che ci viene raccontata potrebbe con una certa facilità essere incasellata in quel genere di graphic novel che rispondono alla categoria delle slice of life, e la cosa potrebbe chiudersi, più o meno lì.
Bè la si chiuderebbe dannatamente male.
Perché nelle duecento e passa pagine della storia ho respirato una intensità che difficilmente si riesce a percepire in vicende analoghe, tutti i personaggi raffiguranti pulsano di vita proprio in una maniera quasi abbagliante, lontani da ogni stereotipo, ma, al contrario, cesellati in maniera da rispondere a dei perfetti archetipi di questi complessi anni che ci troviamo a vivere.
Scirocco è una storia moderna, che incrocia tre generazioni ed un vissuto che investe la storia del nostro paese in quasi tre quarti di secoli di storia. I personaggi che accompagnano Scirocco sono di fatto tre (più Enrico un comprimario, che serve a dare una versione più complessa della famiglia intesa come nucleo di amici) ma includono il mondo intero.
Protagonista della storia è Mia, la quasi diciottenne ballerina che vive in laguna e con il progetto di spingersi fino alla Scala di Milano. Suo padre Gianni, gestisce la vineria Scirocco, è un genitore molto affezionato alla figlia, e la supporta in ogni passo. Single e gay, rappresenta la quintessenza del padre che mette il benessere della sua prole davanti a tutta la sua vita. (un giorno ti dirò che ho rinunciato agli occhi suoi per te. Lo dicono anche gli Stadio). E poi c’è Elsa, la nonna, artista malandata e donna emancipata e straordinaria ma travagliata da un male che si è portata via la sua capacità di essere scultrice.
Elsa è emigrata dalla lontana Sicilia quando era giovane seguendo l’uomo con cui avrebbe poi vissuto tutta la vita. Ma questo non le ha impedito di mantenere alcuni legami incluso uno molto misterioso che si lega a delle lettere senza mittente che arrivano con una certa regolarità. Tutta la storia è incentrata sul vertice del cambiamento, quel momento di quiete prima che la vita cambi e cambi in maniera a suo modo definitiva. Anche se di fatto la protagonista è Mia, la storia ha più chiavi di lettura. Per lei è il momento di crescere, di decidere se inseguire la pressione dei suoi sogni o adattarsi ad una vita più rassicurante. In Gianni è il momento della trasformazione, gli anni d’oro sono oramai alle spalle, ma c’è lo spazio per rimettersi in gioco e cercare quel tipo di compagnia che non è più egoismo, ma necessità di calore umano. Singolare, da questo punto di vista, la scelta di non inserire neppure per sbaglio il nome della madre di Mia. Scelta stilistica che apre a differenti possibilità tutte, a suo modo, degne di essere indagate. Per Elsa la scelta finale è quella se subire le ingiurie del tempo o meno. Come viene espresso abbastanza chiaramente, spesse volte la differenza, anche se dolorosa, è tra vivere e sopravvivere.
La storia si suddivide in tre atti nettissimi in maniera anche cromatica (a questo ci arriviamo tra pochissimo). A smuovere la vicenda è una notizia ricevuta da Elsa che comporta una serie di mutamenti ed un viaggio on the road che porta i tre personaggi chiave a riannodare alcuni fili e a scioglierne, per quanto controvoglia, alcuni altri.
Nell’ultimo atto, ritornati dalla Sicilia, Mia è più centrale. In lei convive la necessità di seguire un sogno e le responsabilità di una famiglia, che ha doveri e preoccupazioni. Per quanto possa sembrare un argomento pesante, al contrario, la storia riesce a dosare bene le varie tematiche sottolineando il tesoro raro che è avere una famiglia che ti sorregga anche nei momenti più difficili.
C’è un momento importante, dolorosissimo, gestito nello spazio bianco tra poche vignette il momento che Mia è a Milano per il provino. Uno scambio di sguardi che porta al contrasto questi due aspetti della sua esistenza in maniera violentissima.
Una cosa che credo tutti abbiamo provato, prima o poi nella nostra vita, ma che messa là, diventa universale e potentissima.
Giulio è anche un bravissimo disegnatore. Definisce dei character design delicati che, solo apparentemente strizzano l’occhio verso oriente mentre invece si inseriscono in una tradizione europea ben definita. Il cambio cromatico, blu, viola e giallo a seconda dell’ambientazione contribuisce a marcare le differenze, climatiche ma anche stagionali, nel racconto della storia.
L’esperienza di Mondo Naif emerge potente nella resa di questa storia che è leggera come un passo di danza appena accennato ma che riesce a trasferire in un modo vitale la bellezza dello stare al mondo.