Nate Powell è un cartoonist complesso. Non si può cercare di comprendere la sua poetica da quei tratti apparentemente semplici che compongono la sua poetica. Sarebbe facile ed estremamente semplicistico.
Invece bisogna soffermarsi sui dettagli, studiare le inquadrature, degustare quel character design che rende tutti i personaggi istintivamente degni di fiducia mentre, tutto ad un tratto ci restituiscono i loro demoni interiori.
Torna è una storia sui segreti, su quanto ci logorino e siano seducenti. Su come la meccanica che si avvia una volta che ne custodiamo uno dentro il cuore, si avvii una spirale autodistruttiva da cui non si scampa troppo facilmente.
Nessuna esagerazione. Perché, nel caso specifico l’autodistruzione è letterale e passa verso la cosa più terribile per un essere umano da mandare giù : l’oblio.
Cominciamo dall’ambientazione : quanto di più figo possa comparire in una storia del genere. Fine degli anni settanta, una comune hippy abbastanza desolata nell’Arkansas rurale. Tutto ruota attorno ad Hal una madre single ed u suoi amici. Come tutti, Hal custodisce dei segreti e li nasconde in fondo al bosco. Dove c’è una tana, una vecchia miniera, una versione deviata di una caverna hobbit. Resta il fatto che non tutti possono vederla, e quando lo fanno è perché hanno qualcosa di cui la creatura che vive dentro è ghiotta : segreti.
Non so quanto di concreto arrivi dalle leggende rurali, perché l’America è ricca di leggende rurali con vecchi spauracchi battezzati dai coloni che si trovano ad abitare aree prima, a loro, sconosciute. Ma nel rendere questa entità, i suoi occhi gialli, Powell pesca nel folklore più tetro. Hal vive la sua vita seguendo le attività della giornata, le mansioni della comune, le corse al mercato del paese, i rapporti col figlio e con l’ex compagno. E, bè non solo, perché come dicevamo Hal ha un segreto che la attira e la respinge.
Ad un certo punto della storia, quasi metaforicamente, Hal chiude la porta della caverna ricoprendola di zolle di terra. Che quello che è seppellito là dentro vi rimanga tale. Ma la caverna è famelica ed il giorno dopo tocca a due bambini, uno è il figlio, l’latro è, bè lo scoprirete, finirci dentro. L’Innocenza è una pietanza ancora più prelibata e la creatura in fondo è anche pietosa. Si prende una vittima ma regala una damnatio memoriae a tutti gli altri. Tranne Hal, che inizia un’odissea disperata per salvare la giovane vita.
Il tratto che accompagna la vicenda è rilassato, ricercato, assolutamente misurato al punto che ogni vignetta assume le connotazioni di una tavola a sé stante. Powell ha imparato la lezione di Eisner ed il suo essere uno storyteller a tutto tondo gli permette di lavorare a più riprese su una lezione narrativa complessa e articolata. Un plagio va alla colorazione che adotta una palette limitata e tendenzialmente slavata che contribuisce a garantire alla storia una lente narrativa che misura la distanza e l’effetto volutamente vintage.
Dal punto di vista narrativo la storia è suddivisa in due periodi : uno più introspettivo e attestato su monologhi che comunicano direttamente con la creatura, mentre l’altro aspetto si focalizza meglio sui dialoghi, freschi e ben armonizzati.
Nate Powell si presenta come un vero narratore alla ricerca del romanzo americano. Io credo che dopo March lui stia ancora scaldando i suoi muscoli narrativi, ma se questi sono i presupposti, potremmo trovarci davanti cose molto più interessanti da qui a poco.