“La casa sul mare celeste” (The house in the Cerulean Sea) è un romanzo di J.T. Klune, primo libro della nuova collana “Fabula” pubblicato dalla casa editrice OscarVault.
Giunto ai quarant’anni, Linus Backer è un uomo rassegnato alla sua solitudine, dall’aspetto anonimo e un pò sovvrappeso.
“Ormai da tempo aveva accettato che certe persone, a prescindere da quanto fosse buono il loro cuore o di quanto amore avessero da offrire, erano destinate a rimanere sole. La vita aveva quello in serbo per loro. All’età di ventisette anni, Linus aveva capito di appartenere a quella categoria di persone.”
La cosa più emozionante che gli sia capitata è la convivenza con la sua amata e dispettosa gatta nera, Calliope. Lavora come assistente sociale, la sua mansione principale è visitare gli orfanotrofi particolari che ospitano bambini speciali, creature magiche diverse dagli umani: streghe, mutaforma, gnomi. C’è molta paura e discriminazione nei confronti di questi soggetti così lontani dagli standard di normalità universalmente riconosciuti, perciò vengono abbandonati, e spesso esclusi dalla società.Il compito di Linus è assicurarsi che nei vari orfanotrofi i bambini siano trattati con ogni riguardo: in caso contrario, una sua segnalazione alla Suprema Dirigenza può suggerire la chiusura dell’istituto ed una ricollocazione dei minori. Linus svolge il suo lavoro con competenza e professionalità, attenendosi con estremo rigore al codice normativo che gli è stato imposto dai suoi dirigenti. Proprio per la sua scrupolosità e la capacità estrema di obiettività, i suoi superiori decidono di affidargli un compito delicato: visitare un istituto per bambini speciali sulla lontana isola Marsyas. I bambini sono soltanto sei, ma decisamente fuori dal comune e la Suprema Dirigenza ha motivo di credere che il suo direttore, tale Arthur Parnassus, sia un un uomo non all’altezza dell’arduo compito di gestirli. Linus, più che reticente a lasciare la sua tranquillissima casa, non ha altra scelta che prendere con sé qualche bagaglio, la sua recalcitrante gatta e partire. Tuttavia l’orfanotrofio è molto diverso da qualsiasi altro istituto abbia ispezionato prima. E anche il direttore, l’enegmatico Arthur Parnassus, che desta tanto sospetto nella Suprema Dirigenza, è un uomo diverso da chiunque altro abbia conosciuto. Trascorrendo molto tempo insieme ai sei bambini diversissimi accumunati da un passato tragico e al gentile direttore che sembra riporre fiducia nella sua umanità e capacità di pensare con la propria testa, per Linus Baker sarà diffincile mantenere l’obiettività. Ma forse, il modo migliore di affrontare un lavoro come il suo è proprio quello di abbracciare le emozioni, di viverle pienamente e, contrariamente agli ordini dei superiori, metterci il cuore. Oppure no?
Scritto con magistrale bravura, “La casa sul mare celeste” è un romanzo che rapisce sin dalla prima pagina per la sua prosa frizzante. Klune, con la sua penna sarcastica, delinea perfettamente personaggi e caratteri. Come un pittore dipinge scenari meravigliosi senza essere pedante nelle descrizioni, e rende partecipe il lettore, pur con una narrazione in terza persona, dei pensieri e dei sentimenti del protagonista, accompagnandolo lungo tutta la sua evoluzione psicologica interiore.
Linus Baker, analogamente al Belluca pirandelliano de “Il treno ha fischiato“, ha trascorso la sua esistenza in una quotidianità grigia e ripetitiva, la cui piattezza viene enfatizzata, ponendola a confronto con i colori lussureggianti, quasi tropicali, dell’isola. Proprio come per Belluca, la visita in questo nuovo piccolo mondo costituisce un vero e proprio trigger che risveglia in lui sogni segreti: Linus non ha mai nemmeno sperato di poter vivere, limitandosi a sopravvivere, dedicandosi con dedizione al suo mestiere, seguendo – forse un pò troppo alla lettera – regole desuete che non hanno più senso, e che soprattutto non sono giuste come ingenuamente credeva. Sull’isola Linus trova un piccolo angolo di paradiso in cui scopre di poter essere una versione diversa di sé stesso, scopre di poter essere più di un ometto appesantito e silenzioso che non sa più sorridere. E scopre che pur con tutti i suoi difetti e i limiti può essere apprezzato ed amato.
Tema fondamentale del romanzo è la discriminazione del diverso, spesso temuto perché non si conosce. La popolazione del villaggio sulla terraferma più vicino all’isola detesta i sei bambini dell’orfanotrofio, ne ha paura e vorrebbe soltanto che sparissero. Nel loro odio cieco, Linus riconosce la propria stessa cecità: è sempre stato convinto di agire nel bene dei minori, ma si è mai davvero preoccupato di informarsi per sapere dove venissero ricollocati? Se fossero felici? O anche lui, forse, è stato l’ingranaggio di un orribile sistema che sembra volerli ghettizzare e segregare lontano dal mondo dei cosiddetti “normali”?L’incontro scontro con una realtà diversa rispetto a quella a cui è abitutato è occasione di meditazione per il protagonista, che si interroga su quanto abbia veramente combattuto per il cambiamento della mentalità dei singoli nei confronti dei diversi. I “bambini magici” sono metafora di tutte quelle categorie crocifisse quotidianamente, capri espiatori colpevoli di esistere, giudicati solo in base ai pregiudizi di essere potenzialmente pericolosi.
Arthur Parnassus, il direttore dell’orfanotrofio, è una persona altruista e gentile: nonostante la solitudine e le difficoltà, provvede ai bambini come meglio può cercando di essere costantemente presente, di non far mancare loro nulla e di rappresentare una sicura e positiva figura di riferimento. Inoltre, nonostante la cattiveria della gente, ha insegnato ai suoi piccoli ospiti l’amore e il rispetto per il prossimo.
La determinazione di Arthur colpisce profondamente Linus, il quale non può che stimarlo e -anche se la professionalità dovrebbe impedirglielo – ne rimane affascinato.
Tra Linus e Arthur si instaura un rapporto di reciproco rispetto che sin da subito sembra essere il preludio di una tenera intesa romantica, costruita con un elegante mostrare senza dire: un sorriso particolarmente dolce, un’attenzione speciale ai reciproci gesti, sguardi che indugiano sulle dita dell’altro. Tutti questi elementi danno lentamente vita ad una discreta storia d’amore, che diventa sempre più intensa, coinvolgendo il lettore in un crescendo di emozioni che non trovano voce ma profondamente sentite.
Molti ne hanno criticato la prevedibilità, il lieto fine, le meccaniche narrative. A me invece, “La casa sul mare celeste” è piaciuto: ritengo che l’autore sia riuscito a scrivere una bellissima fiaba dai toni intimisti, capace di far riflettere, sognare e emozionare, nella sua disarmante semplicità.
“A volte, pensò dentro la casa sul mare celeste, si può scegliere la vita che si vuole.E, se si è abbastanza fortunati, magari quella vita ci sceglie a sua volta.”
Magari esistesse per ciascuno di noi qualcuno che ci attende al di là dell’oceano, in una colorata casa tranquilla, a strampiombo su uno struggente mare celeste.