Continua il trittico di storie in omaggio a Vasco Rossi, questa volta andando dritti su quella che è forse, anzi sicuramente, la più famosa canzone del rocker di Zocca. Si tratta naturalmente di Albachiara e, a raccontarne la storia interviene un’altra scrittrice molto presente nel corpus dylaniato, Gabriella Contu, coadiuvata da quello che forse è il più dotato tra i cartoonist della sua generazione, Sergio Gerasi.
Come nel caso della storia precedente, il riferimento alle canzoni di Vasco è presente ma è poco più di una eco nella meccanica della storia che qui va a toccare un argomento tra i più possibilmente delicati.
Un po’ come era successo per Sally, qui ci troviamo con la protagonista, Alba, che rappresenta la leggiadria personificata. Quel tipo di figura angelo che brilla senza sapere di brillare. E di come al mondo, simili creature, siano di fatto avverse.
Il tema della storia scorre sul ghiaccio sottile, perché affronta, senza nominarla, quella paura della vita, forse una sorta di depressione, che ci porta ad allontanarci dalla vita fino a renderci invisibili. Affrontando la questione in modo appena più moderno, parleremo di hikikomori.
Ma il romanticismo di Dylan, si sa, è molto più vintage e ci porta ad affrontare la questione in modo più classico. Dylan riceve la visita di un ragazzo invisibile. Non perché sia un superpotere, ma perché si è ritirato piano piano dalla vita fino a scomparire. La gente ha cominciato a guardare attraverso di lui e, in un certo modo, a lui è cominciato ad andargli bene. Solo che poi ha incrociato Alba, una ragazza quasi eterea e apparentemente impegnata in una vita carica di affetti. Una vita di cui, a detta del ragazzo, si stancherà presto fino a diventare, come lui, invisibile.
Dylan decide di seguire Alba mosso da una certa curiosità e, conoscendo il nostro, non impiega molto a farsi affascinare dalla leggiadria della ragazza. Alba, da parte sua, avverte una sua forma particolare di malessere. Una voce oscura, mostruosa, che trasforma in odio e delusione tutte le piccole soddisfazioni che la vita sembra offrirle.
La voce, sembra quasi un demone interiore, un tormento autoinflitto, una sorta di cherofobia che sta piano piano corrompendo le sue piccole gioie. E Dylan colto in questo vortice, dovrà compiere le sue azioni fino ad un funale spiazzante a doppio livello.
Primo perché scopriamo che il mostro che ci vuole rendere orribili e soli, non è una creatura che vive solo sotto il nostro letto, ma che trova facilmente asilo ovunque. E secondo, perché a volte ci rendiamo conto che magari, senza volerlo, quel mostro, per gli altri, siamo proprio noi.
La storia si muove su particolari snodi, lasciando grandissimo spazio alla poeticità del momento. L’argomento, soprattutto per i più giovani, non è da sottovalutare. Proprio in giovane età è il momento in cui siamo più vulnerabili e rischiamo di perderci. Ci sono alcune piccoli snodi narrativi che avrei preferito gestiti in una maniera differente, ma nel complesso ho davvero apprezzato il tema, e la delicatezza dell’intreccio.
Parliamo di Sergio. Un Dylan disegnato da Gerasi vale quasi il doppio. La sua Londra è viva, differente, lontana da quei topoi più turistici. Il suo animo punk trasuda nel design di tutti i personaggi, nelle mille espressioni differenti che lampeggiano dalle facce dei personaggi rendendoli umani con un effetto disarmante.
La leggiadria di Alba viene resa con pochi tratti, lasciandone trasparire l’umanità e la dolcezza, inclusa quei lati oscuri che anche il più splendido di noi, non può avere.
Questo trittico al femminile prosegue con molti colpi di scena e grossi calibri. La scelta di una lettura al femminile per Dylan nell’accezione di interpretare un testo di Vasco è a suo modo dissacrante e completamente efficace.
Un po’ come Fiorella Mannoia che interpreta Sally, ci troviamo con i brividi e la pelle d’oca. Senza davvero capire perché.