Non credo di confidarvi un segreto. Io il wrestling non l’ho mai capito. Faccio fatica a considerarlo uno sport e tutta la prosopopea del keyfabe mi sembra meccanica e irrisoluta. Eppure, c’è qualcosa nel mondo dei luchador della mesoamerica che mi ha sempre colpito. Forse perché sono meno famosi rispetto ai loro cugini americani. Che lontani dai riflettori, sostituiscono la fama alle strade polverose e alla tequila. E forse perché c’è un elemento in più che funziona e che Jason Gonzalez menziona praticamente all’inizio del suo lavoro.
Si potrebbe usare in termini spicci il concetto di credibilità. In modo più ampio cito una frase presa dal volume. I luchador indossano la loro maschera non per nascondere quello che sono ma per mostrarlo.
Ed è così che facciamo conoscenza con El General, luchador sconfitto da tre rudos, che gli hanno inflitto la pena peggiore possibile, lo smascheramento pubblico. Io ora qui non vorrei correre il rischio di giocarmi troppo spesso la carta Alan Moore, ma la sensazione di ansia che esplode in Rorschach quando gli viene tolta la maschera mi sembra assolutamente somigliante.
Il punto con el General è che il suo percorso di risalita dalla vergogna è costellato di eventi insoliti. Prima di tutto un faustiano impresario che gli dà nuove energie ed una nuova identità, quella di Mano del Destino e che lo rimette sul ring contro el Jefe e la sua terribile schiera di luchador.
Ed è qui che capiamo come la lucha libre sia una cosa dannatamente seria. Tutti i personaggi che incontriamo nel corso di questa corsa alla vendetta sono dotati di una profondità inavvicinabile. Tutti, da Calavera a G.G. sono dotati di un dramma che li anima e li spinge a lottare da una parte o dall’altra.
E lo stesso vale per la Mano del Destino che, ovviamente ha il ruolo più approfondito e terribile.
Ma, se l’iperbole narrativa rappresenta quasi un elemento topico della narrazione, specie in certi contesti culturali, non si può dire altrimenti della componente grafica che, qui, anzi, si presenta in modo del tutto stiloso. Gonzo stesso dichiara di essersi ispirato alla silver age americana e a Re Jack principalmente.
Non è solo un fattore di anatomie e di stile, ma di movimento e cinetica. Le posizioni dei wrestler, l’arroganza dei loro colori di guerra, i volti corrucciati, tesi, anche nel pubblico, rimandano ad uno stile narrativo impreziosito da un gusto dichiaratamente vintage. Gusto che si riflette non solo nella tipologia del tratto, ma anche nella spigolosità dei personaggi e nel dettaglio del rendere la carta giallognola, consumata, quasi come se il fumetto stesso provenisse da un periodo dimenticato.
E del resto, la resa del Messico è tale, da poter ambientare la storia in un periodo imprecisato. I sentimenti vissuti sono di una potenza tale da essere universali e, giustamente, Gonzo non si preoccupa di contestualizzarli. Al contrario le sue tavole sono estremamente dinamiche e cariche di mosse cinetiche che a volte mi meraviglio di non vedere le rinomate sfere di energia. Però il valore intrinseco attribuito allo spazio bianco è tutto là. Soprattutto nelle complesse tecniche dei Luchador assistiamo a una precisa esecuzione intrisa di un amore imperituro nei confronti del genere e del mezzo.
La Mano del Destino rappresenta un eroe popolare, sospinto e sorretto dal popolo e che muove la sua personale rivoluzione volto ad un cambiamento quasi fosse un moderno Zorro. Nulla è artefatto, e la passione ed il sangue caldo sembrano dettare il ritmo sincopato che attraversa le sei parti della storia.
Che, se in Italia è la lungimirante Leviathan Labs a pubblicarlo, in America è nientemeno che la Image Comics a curarne l’edizione. E scusa se è poco.
Ad impreziosire il volume, curato in ogni dettaglio, ci sono una dozzina e più di pagine con riferimenti alla moda ed alla cultura dei luchador. Al loro significato simbolico e alla riflessione di questi gesti nel complesso panorama pre-colombiano. Nessun dettaglio sembra essere sfuggito a Gonzo che, al contrario, impreziosisce tutto con elementi di ricerca che permettono a chiunque sia a digiuno del genere, di impossessarsi dei rudimenti e goderne a pieno.
Non sono un amante del wrestling, dicevamo all’inizio. Continua ad essere vero. Ma ad una storia di passione e rivalsa non so dire di no. E se il sangue ribolle proprio come in queste tavole, dopo, non mi resta che applaudire a scena aperta.
Fino a farmi sbucciare le mani.