Ho finito di leggere ieri notte l’ultimo numero di Dylan Dog. Quel momento blu cui fa riferimento il titolo è l’attimo in cui tutto sta per crollare, l’attimo in cui il panico, la rabbia, l’oppressione per il senso di ingiustizia prevale e senza rendercene conto si finisce per fare qualcosa di inconsulto.
In un altro momento, non avrei esitato a definire questa storia, una fase di passaggio all’interno della continuity dylaniana che ha raggiunto ormai una certa maturità (e rimane presente a tutti senza disturbare, d’altra parte). Dylan si trova per caso ospite di una scuola dall’impronta particolarmente aristocratica e vi si trova nell’attimo esatto in cui una strage stile Columbine si consuma.
È brutto da considerare, ma i mostri di questo episodio sono tutti là, tutti incastrati con la coda che si dibatte ancora sotto il vetrino di una scomoda realtà. La nostra società è fatta per etichettare, lo fa in modo brusco dalla mattina, appena ci vedono prendere un caffè al bar e continua con tutto il vigore che può fino a quando ci diventano rosse le orecchie e ne esce il proverbiale fumo.
La nostra società fa schifo, non ci sono dubbi in merito. Si può raggiungere un’ascetica consapevolezza tinta di fibre zen. O si può imbracciare uno shotgun e cercare di farla pagare a qualsiasi stronzo ci abbia reso la giornata invivibile. Ora, l’ora tarda mi impedisce i convenevoli di un buonismo stucchevole, ma è abbastanza ovvio che da persona equilibrata risponderei con la prima soluzione. Poi mi basta leggere un giornale per rendermi conto che la seconda soluzione non è così poi implausibile.
Altri l’hanno provata. E sappiamo bene come è finita. La domanda giusta, semmai, è perché un fumetto come Dylan Dog debba occuparsi di casi così concreti quando, peraltro, l’ha già fatto in una storia abbastanza recente di cui è presente perfino un rimando all’interno del numero.
Non rispondete, la domanda è retorica.
Dylan è un fumetto sociale, i mostri siamo noi, bla bla bla. Non disconosco tutti questi aspetti, ed anzi li applaudo. Il punto di questa storia, semmai, è che sembra ingannevole proprio su questo aspetto. I due killer, che oggettivamente sono suonati come una campana ed omaggiano Columbine in modo sin troppo devoto, non puzzano di disagio sociale. Sono perfetti fisicamente e seppure non allineati al loro status quo, non sembrano slegati dalle dinamiche della loro società. Sono pur sempre membri di una scuola privata costruita su un’isoletta sul Tamigi, quanto potranno sentirsi outsiders?
Se il loro malessere è invece di natura psicologica, ed il disagio reale non è rappresentato dal benessere materiale ma mentale, il messaggio è appannato. Come vi raccontavo in principio di questo pezzo, sarebbe molto facile archiviare tutta questa storia come un transitorio.
Ma resta il fatto che uno dei due vede scolopendre umanoidi dove non c’è nulla. E se fino a questo punto non ci sarebbe nulla da eccepire, due loschi individui a fine della storia si perdono in considerazioni sul futuro prossimo del Nostro lasciando intendere che qualcosa di grosso sia stato appena buttato in pentola. Perciò staremo a vedere.
Andrea Cavaletto sceneggia questa storia che mantiene la gestione del tempo molto serrata e affannosa, raccontando dinamiche adolescenziali e panico da cordite in una regolarità quasi clinica. Che magari non affonda i denti nella sozzura ma che ne permette una visione quasi naturalistica.
Al contrario il lavoro di Christopher Possenti, carico di neri violenti ed aggressivi, si presta bene ad una storia il cui movente unico sembra essere la pazzia che alberga in un animo insoddisfatto. I suoi tratti nervosi deformano le anatomie rendendoci esseri umani pronti a disgregarsi in molecole di bile.
La storia in sé nasce molto rapida ma permette di fornire humus fertile per qualcosa che potrebbe accadere. E che renderebbe Dylan qualcosa a cavallo tra quello che era e quello che è.
Davvero una bella recensione. Molto azzeccata. Soprattuto hai trovato un cardine nella psicologia dei due attentatori, che avevo volutamente lasciato fumosa e controversa. Grazie mille!
ti ringrazio Andrea!