Il noir, seppure rivestito da giallo procedurale è un ottimo modo per indagare l’animo umano. Permette di scoprire quegli elementi che permettono di capire meglio come funzioniamo quando dentro di noi si rompe qualcosa. Maurizio de Giovanni, in questo, è bravissimo, con le sue storie legate al ciclo di Ricciardi (ne parlo qui) prima e con il ciclo dei Bastardi poi non si è più fermato.
Non è un caso che le sue storie siano tradotte in svariate parti del mondo e che poi ne vengano tratte serie TV e anche fumetti. Mentre il commissariato di Pizzofalcone ha avuto la su edizione zoomorfizzata, fino a questo punto mancava un elemento che completasse il percorso. Si tratta del Metodo del Coccodrillo, romanzo zero del ciclo che vede come protagonista soltanto Peppuccio Lojacono e non il resto della squadra.
Il problema con il coccodrillo, mi ha spiegato de Giovanni (potete vedere l’intervista integrale qui sotto) è che il registro è impietoso e totalmente differente. Escluso per la stessa ragione anche dalla serie TV, questo episodio rappresentò l’allontanamento per de Giovanni dalla comfort zone che, all’epoca, rappresentava Ricciardi.
Il coccodrillo è ambientato nei giorni nostri, in una Napoli gotica ed impietosa, in cui si aggira un assassinio seriale che uccide i ragazzi, piangendo. A trovarselo davanti è proprio Lojacono, trasferito dalla Sicilia ed in odore di corruzione. Peppuccio vive questo esilio nel peggiore dei modi, disprezzando qualsiasi cosa lo contorni e facendo un pessimo uso del suo tempo. Abbandonato da moglie (che dà la colpa alla reputazione, ma è abbastanza ovvio che un matrimonio non finisca per quello), allontanato ed ignorato da superiori e colleghi, Lojacono riceve una telefonata e comincia a trarre le sue conclusioni. Le sue capacità analitiche lo porteranno all’attenzione del sostituto procuratore che lo vorrà nelle indagini che risveglieranno un istinto che credeva sopito forse per sempre.
Lojacono lo devo a tutti, a se stesso per primo e la sua indagine è una discesa gli inferi per braccare un gioco crudele e letale del fato, ma è anche il primo passo per la sua redenzione.
Sergio Bonelli Editore, seguendo la volontà del suo autore, decide di pubblicarne una versione cruda, che per registro è in assonanza più con Ricciardi che con gli altri romanzi del ciclo di Pizzofalcone. L’edizione è molto bella e ben curata e, oltre ad una serie di interventi dello stesso de Giovanni presenta la storia di Alessandro Di Virgilio e Massimo Bertolotti.
Alessandri ha già lavorato in passato con i personaggi di De Giovanni e ne sa indovinare per bene la chiave di lettura. Sospesi su uno strato apparentemente asettico le vicende del Coccodrillo e di Lojacono esplodono con prepotenza portando frustrazione e desiderio di rivalsa a contendersi il posto sul palco. La trama, pur con qualche licenza (una su tutte, l’assenza giustificata di Laura Piras), segue abbastanza puntualmente il romanzo originale. E del romanzo originale conserva l’impeto e l’ansia creativa.
Le matite di Bertolotti, al limite del fotorealismo, vivono la competizione con la serie televisiva. De Giovanni stesso, in tempi non sospetti, aveva ammesso che nel pesare al look del ‘cinese’ si era pesantemente ispirato ad Alessandro Gassman che finirà per impersonarlo in televisione. Massimo cerca soluzione alternative, ma alla fine le espressioni laconiche e riflessive di Lojacono devono per forza rassomigliare a quelle di Gassman. La dinamicità delle tavole è tale da ricordare una storyboard cinematografica.
Più di ogni altra cosa risalta la cattiveria del soggetto, che è poi quella dell’animo umano. Il Coccodrillo che rimanda al borghese piccolo piccolo interpretato da Alberto Sordi è un uomo mite a cui hanno sottratto troppo. E come tutti quelli a cui si sottrae troppo, la vendetta è vorace e implacabile.
Ho apprezzato la gestione a la Blacksad dei Bastardi, ma se si dovesse mai decidere di proseguire con le avventure di Pizzofalcone ripartendo da questa nuova origine, potrei soltanto applaudire.