Ci sono diverse cose che vorrei dire su questa serie, prima di farmi travolgere completamente dall’entusiasmo. Perché, diciamocelo, un prodotto del genere, gioca in maniera forte sul fattore nostalgia. E per quelli su cui questa nostalgia fa effetto, il giudizio rischia di essere obnubilato.
Per una legge non scritta, ma funzionante dai tempi di Leopardi se non prima, ricordando, il passato è bello, solo perché filtrato attraverso la funzione ricordo. Ed è un incanto che mi piacerebbe evitare. Specie perché per questa quarta stagione, la produzione è riuscita a recuperare il buon Terry Silver, personaggio tra i più dimenticabili di Karate Kid 3, che segnava l’inizio della parabola discendente del Miyagi Do (purtroppo esiste una quarta pellicola con il buon Pat Morita che fa i kata con la musica di Britney Spears in cuffia, ma cerchiamo di non ricordarlo e viverci sopra).
In più, in certi casi la linea comica ha funzionato davvero male, e Raymond, che qui ritorna in una veste molto più drammatica, ha quasi rischiato di rendere ridicola tutta la produzione.
Ed invece qui succede qualcosa di inaspettato. Cobra Kai è una serie sul bullismo, e sin dai primi episodi, l’equilibro si svolgeva sul sovvertimento dei ruoli rispetto all’epopea originale. I figli di Daniel LaRusso erano viziati e squilibrati, Johnny Lawrence trovava una dimensione approfondita e tutti i suoi atti di bullismo venivano inseriti in un sistema in cui diventava poi complesso trarre un parere tranchant.
Ed è questa la forza anche di questa serie. Se esaminiamo i personaggi, tutti, dal primo all’ultimo, non sono esenti da macchie, anzi, sono realistici e funzionano dannatamente bene proprio perché come nel simbolo del Tao, c’è un po’ di bene nel male e viceversa.
Alla fine della stagione precedente avevamo lasciato Daniel LaRusso e Johnny Lawrence alleati contro un Cobra Kai nelle mani di un perfido John Kreese. Gli intrecci tra i tre dojo, ed i loro studenti, si complicano ulteriormente in questa nuova iterazione, ma quello che per fortuna viene evitato, è la trasformazione di tutta la faccenda in un pallido teen drama dove tutti i personaggi sono di volta in volta intercambiabili. Al contrario, ognuno ha un proprio background che lo definisce e lo rende perfettamente funzionale.
Ma non solo. Sebbene ci sia una parte centrale della storia che tende a risolversi in maniera forse troppo frettolosa, lo stacco tra episodio 8 ed i due conclusivi è davvero troppo forte, le scene girate al torneo di Hill Valley rappresentano una vera sorpresa.
Sebbene un po’ troppo patinato in certi accorgimenti, va però detto che lo stile di regia permette di presentare degli incontri di Karate credibili dove, al di là di alcune tecniche che possono sembrare davvero troppo complesse per dei giovani praticanti, tutto segue effettivamente la concezione di una certa disciplina e precisione marziale.
Aggiungo che il finale, avrebbe potuto essere telefonato, con degli sconti tra teste di serie così evidenti da risultare forzati. Anche in questo caso gli sceneggiatori si sono evitati il pericolo mostrando invece delle scelte mature e perfettamente credibili. Superba la linea evolutiva scelta per il giovane Diaz, ma non è neppure l’unico colpo di scena che va a segno con precisione chirurgica. Tutto il finale è scoppiettante e gli ultimi venti minuti della serie sono un capolavoro di suspense.
Più di ogni altra cosa la serie, che si intitola Cobra Kai, non Miyagi-do , segna il trionfo della legge del pugno ed in questo, il personaggio di Terry Silver è, a dir poco, mefistofelico. Si considera risolto, ma poi non appena avverte l’odore del sangue, torna ad essere il pazzo psicopatico che ricordavamo dal terzo film. Ora per favore, ridateci Dutch.
Cobra Kai è una serie sul divenire se stessi. Sullo scoprire i nostri limiti e le nostre potenzialità. E purtroppo è impossibile farlo senza ferire qualcuno nel mentre. Il bullismo, i cattivi maestri, il ribellarci allo status quo della nostra famiglia, sono tutti step necessari. Non significa, e su questo ci tengo ad essere pesantemente chiaro, che sia un’apologia del bullismo. Al contrario è un invito a conoscere meglio, anche attraverso il combattimento, perché nelle arti marziali è considerato un metodo per conoscersi approfonditamente. E conoscersi significa affrontare il nostro peggio, e sperare che un giorno da là emerga anche il nostro meglio.
Ed in fondo, se guardate con attenzione, scoprirete che la saga di Karate Kid è un ottimo compendio di Guerre Stellari, al netto della Forza.