Peter Kuper è un autore molto particolare, spigoloso probabilmente, intellettuale. Le sue vignette vengono pubblicate sul New Yorker, i suoi volumi letti anche da chi legge i graphic novel meno abitualmente di noi.
Per cui, parlare di un suo volume è sempre un’operazione delicata, una sottile linea d’ombra. L’anno scorso vi avevo raccontato della sua versione di Cuore di Tenebra (ve ne parlo qui), e ora ci troviamo davanti ad una sua nuova fatica libraria. Come molti della sua generazione Peter Kuber è affascinato dalle opere di Franz Kafka, e lavorando da vicino con dei nuovi traduttori ha deciso di operare una selezione dei suoi racconti da trasformare in quattordici storie a fumetti.
Addentrandosi in profondità in questo nuovo cartonato Tunué, editato con una grafica impeccabile, comprendiamo per bene il significato dell’aggettivo kafkiano. I racconti originali sono a volte ermetici altre semplicemente claustrofobici. Non necessariamente riprodotti fedelmente ma comunque presenti in spirito in un viaggio allucinante che pagina dopo pagina esercita un fascino morboso su di noi.
Per leggere queste storie bisogna essere dell’umore giusto, non sono atmosfere per cuori allegri. Ed addentrandovici in una giornata particolarmente positiva, rischiereste di guastarvela. La percezione più chiara di questo volume è che si tratta di cibo, anzi, di proteine per il cervello. Pagina dopo pagina si assorbono le atmosfere notturne, appiccicose, senza una maledetta via di scampo.
In questo il tratto di Kuper si arricchisce di tinte forti, di bianchi e neri contrastanti dove sono i neri ad avere prevalenza e ragione. Il mondo che ne emerge è cupo, cinico, perfino senza speranza. I quattordici racconti sono scelti con un criterio di eterogeneità estremamente funzionale. Ci permettono di affrontare il vasto campionario della fenomenologia kafkiana e credo che tutti possano trovare quelli che più si confanno alla loro attitudine.
Personalmente quelli che ho trovato più affascinanti sono Una Favoletta, enigmatico nella concezione della vita di ognuno, ma che indica in modo netto il tipo di trappole che ci permettono di autosabotarci. La Tana, al contrario è una continua ricerca di un posto sicuro nel mondo, sembra facile, ed invece curva dopo curva, il nostro posto sicuro non ci fai mai a sentire sicuri abbastanza, fino a quando non diventa esso stesso una trappola.
Inquietante il concetto dietro l’artista del digiuno, dove una donna si lascia morire di fame davanti a tutti. In quel caso però avrei osato di più spingendo sulla malsana abitudine di esibire le nostre miserie sui social. Davanti alla legge, rappresenta con più forza l’aggettivo kafkiano oltre a trasmettere, non per la prima volta nel volume, una forte sfiducia nei confronti dell’autorità in divisa.
Il più lungo ed inquietante del lotto, è nella colonia penale che forse riprende un po’ le atmosfere conradiana. Il timore dell’autorità in divisa qui si ripercuote anche sulle espressioni facciali degli ufficiali coloniali, raffiguranti tutti un certo tipo di umanità squadrista.
Si tratta di un lavoro molto complesso, e di non facile lettura, ma un passo necessario tuttavia, per accrescere ed approfondire i nostri confini. Le storie raccolte in questo volume non faranno nulla per sembrarvi facili e venirvi incontro.
Ma la sfida, comincia tutta da lì.