Affrontare Hickman non è mai una questione facile. Al di là delle simpatie, o delle empatie a dirvela tutta, è chiaro che ci si trova di fronte ad un autore con un incredibile quantitativo di idee che proietta in ognuna della sue storie.
Il suo terreno di battaglia prediletto non è tanto nello storytelling quanto nel world building. Se andiamo ad analizzare le sue storie, non possiamo non denotarne una spiccata caratterizzazione illuministica. L’elemento umano è portante, più o meno, ma solo fino ad un certo punto. Quello che invece è unicamente delineato è il confine del mondo. Che si tratti di un’isola quadrimensionale o dei resti di un impero galattico in continua evoluzione, la sua costruzione, la stessa intrinseca storiografia si espandono in una spazio ben più ampio del contenitore della storia in sé.
Il suo stile narrativo, è pesantemente controverso : l’ambientazione portata avanti attraverso infografiche può risultare accattivante e, con le grafiche azzeccate, assolutamente stiloso. Eppure, anche se personalmente non posso fare a meno di pensare alla prima regola della narrazione (show, don’t tell), non posso negare l’appeal che genera.
L’universo narrativo animato in Decorum ha profondi richiami alla fantascienza classica. In esso vengono fuse assieme teorie metafisiche e teorie del complotto rivisitate. L’universo è il protagonista stesso di questa saga dove i personaggi, siano essi semplici umani o divinità, agiscono come semplici pedine di un gioco più ampio e complesso. Un vecchio impero è collassato lasciando vestigia di tradizioni antiche un po’ ovunque. Nel frattempo le varie provincie si sono riorganizzate. Collettivi di intelligenze artificiali, sette religiose, federazioni di sistemi ribelli.
Tutto si fonde in uno scenario dove due storie principali si fondono : quella delle Madri che si trovano a contatto con un uovo di Dio da fecondare e crescere. E quelle di Neah ed Imogen, spinte in una ambientazione che ha parecchio da spartire con la prosopopea cyberpunk ma che, sul finale del primo volume conduce ad una esclusiva scuola per assassini dalle buone maniere.
I due intarsi narrativi sono destinati ad incrociarsi in modo molto più concreto nel secondo volume che vedrà anche la conclusione di questo ciclo narrativo della saga proposta in USA da Image Comics ed in Italia da SaldaPress. Salda fa una lavoro eccezionale producendo due cartonati ottimamente curati, recuperabili sia separatamente che in una splendida edizione slipcase che li contiene entrambi.
La qualità della carta permette di far risaltare ancora di più il tratto di Mike Huddleston, estremamente raffinato e dalle molteplici influenze. Passando da un scena all’altra è possibile percepire in egual misura l’influenza della sci-fi franco belga come pure quella dei manga sci-fi anni ’90. Il tutto con una soluzione di continuità ed un pieno controllo della propria espressività che fa paura.
La scrittura di Jonathan Hickman funziona al meglio in casi, come questo, in cui i personaggi sono sue creazioni per le quasi non deve sussistere il paragone con le rese passate. Hickman è bravo e sa di essere, pertanto non concede sconti. Ma il suo interesse principale non è quello di sviluppar l’introspezione dei personaggi. Al contrario, ne scalfisce appena la superfice mostrandone una concezione algida e razionalistica.
Il cuore della storia è insito nella narrazione metafisica di un mondo in espansione. In questa storia più che in altre, Hickman spinge l’acceleratore sull’elemento metafisico producendosi in un’analisi profonda di schemi che avrebbero potuto rivaleggia con quelli di Kirby ai tempi de Nuovi Dei.
Trovarsi davanti una simile miniera di informazioni, ed una resa grafica così eclettica, può essere quasi spiazzante, risultare in una sorta di shock addizionale. Ma vi posso garantire che rotta la quarta parete l’esperienza assume le connotazioni del più selvaggio ed atipico ciclo di Urania mai pubblicato.