Arrivata a tre quarti, alla storia di Paola Barbato viene impresso un certo abbrivio che permette, conosciuta l’ambientazione (ve ne parlo qui e qui) di prendere una svolta molto simile ad un heist-plot.
La storia che abbiamo visto finora ci racconta di un mondo dove si muore solamente in compleanni prefissati, con intervalli di tempo predeterminati. I diretti interessati non conoscono il loro momento, ma una volta superati i fatidici traguardi possono contare su un certo periodo di serenità. Il mondo dove le avventure del giovane protagonista, Richie, si svolgono non prevede altri rischi. Non si muore di malattia, e praticamente non esistono incidenti mortali.
I pericoli di quella che potrebbe essere la vita moderna, non esistono. Non ci sono tecnologie nocive, non si può andare neppure a fare un giro in macchina. E, siccome gli umani vengono concepiti in vitro, sono programmati per non subire malattie di carattere genetico. Insomma, niente allarmi ne sorprese.
L’ucronia in cui tutto si svolge sembra programmata per trasmettere un falso senso di sicurezza che però si traduce, abbastanza velocemente, nello stesso tipo di ansia che ci trasmette una mosca imprigionata in un calice di cristallo.
Nell’episodio precedente avevamo lasciato Richie, ed il gruppo di persone che aveva casualmente incrociato, pronti a definire un piano abbastanza particolare : introdursi nell’area dove vengono prodotti i nuovi embrioni e progettare una nuova generazione senza data di scadenza.
Il gesto è particolarmente simbolico. Potrebbe quasi sembrare terroristico, ma nella piena realtà dei fatti ha una giustificazione che viene esplicitata per bene solamente in questo numero. Se puoi eliminare tutte le forme di malattia, ma lasci di fatto la data di morte programmata, stai commettendo un omicidio. Chi muore non è vittima dell’entropia, si spegne come un cellulare scarico, ma non ha di fatto danni irreversibili.
Il ritmo del volume ci sposta nel pieno dell’azione con una fragranza molto più adrenalinica. La parte conoscitiva, relegata ad un sottofondo morboso viene poi messa da parte per un ritmo concitato. Il primo sintomo del loro anelito caotico è però cambiare rapidamente i propri piani per una variabile non considerata : Richie.
Ciò conduce ad una trasformazione delle dinamiche del gruppo.
In tutto questo c’è una evoluzione del personaggio di Richie, che accetta il suo nuovo ruolo finalmente con una consapevolezza più solida. In poche pagine passa dalla mera costatazione della morte come amica ad un impeto di ribellione verso ciò che è obbligato e circoscritto. Quando alla fine lascia il suo tema ai compagni di classe, quello che potrebbe rappresentare le ultime volontà, abbandona i feticci da funerale perfetto e si limita a dare alla vita umana un prezzo che tutte le vite dovrebbero avere : lasciare un segno.
Quello che succede nelle ultime pagine è una epifania terribile, che lascia ben poca speranza per un lieto fine ma che, in compenso, proietta le aspettative per il finale alle stelle.
In tutto questo le matite di Mattia Surroz prendono una tinta più cupa. Il color script si adegua senza brusche virate ma con una precisione priva di sbavature. Le stesse fisionomie dei personaggi sembrano subire una metamorfosi. I copri più ossuti, cinetici, quasi come se la tensione ne stesse logorando i tendini. Anche il mondo che li circonda è meno asettico. La luce si fa crepuscolare ed è come se la stessa presenza di gente nelle piazze congiuri al collasso ed al trionfo dell’entropia.
Nulla accade per caso in queste vignette, nulla che la regia di Mattia non sia in grado di gestire mostrandone l’impatto nel momento perfetto in cui quel segnale è richiesto.
Difficilmente riesco ad immaginare una simile commistione tra sceneggiatura e matite. Il duo Barbato/Surroz ci regala un volume che forse fissa già i confini di questo mondo ma che in compenso ne presenta meglio la struttura solida e rivelatoria.
Che spiana la strada per l’angoscioso finale che non può ormai non arrivare.