Lo ammetto, questo nuovo episodio mi ha spiazzato. Probabilmente, anzi, sicuramente è un mio limite. Ma manco di comprensione. O meglio, al di là del semplice fattore di entertainment di una lettura che si sa fare piacevole con i suoi molteplici livelli, alla fine me ne sfugge il senso.
La storia è una originale revisione del concetto di meta fumetto, con Dylan che si ritrova suo malgrado in una missione subacquea con lo scopo di fermare un essere ritornato dallo spazio, impazzito.
Ma tutto questo non ha davvero importanza, perché il livello di lettura più vicino, è quello che invece vede Dylan protagonista di un fumetto in un fumetto. Personaggio e testimone suo malgrado di una evoluzione narrativa in costante mutamento.
Ci sono due voci fuori campo che ne mutano le sorti, cambiano le condizioni a contorno, agiscono di lima e cesello modificando gli snodi narrativi che avvicinano Dylan a la Cosa sotto il mare. Il dialogo potrebbe quasi assumere connotazioni naturaliste, una sorta di leopardiano principio ontologico che conduca Dylan in direzioni opposte al suo volere.
C’è un riferimento, quasi un omaggio, al cinema di Christopher Nolan, alla sua trilogia della sincronicità che pesca a piene mani nel serbatoio dove sono contenute tutte le idee. E su questo rapporto, tra concetti primari ed applicazioni specifiche che si svolge tutte l’episodio. Quasi come se Dylan stesso fosse un elemento da recuperare e sincronizzare alla storia del mese.
Che poi in effetti è vero. Solo che nella parte finale scopriremo che non è affatto così. Anzi, ci troveremo a scoprire il vero senso di tutte le chiacchierate che percepivamo fuori campo. La sorpresa lascerà presto spazio allo sgomento fino ad un senso di dubbio profondo. Che poi è quello di cui vi parlavo in principio. Cosa non ho capito? Dove mi sono perso?
In questo, il tratto di Luca Genovese ci restituisce un Dylan essenziale, perfetto in ogni suo dettaglio eppure forse un po’ cartonesco. Nel suo essere in un contesto veramente sui generis agisce quasi di conseguenza. L’anatomia minuta e dinoccolata forse lo rendono più un millenials che un boomer, ma nella comprensione finale del suo ruolo di turista seduto sul posto del viaggiatore, trova una sua dimensione.
Forse è questa la chiave di lettura mancante. Dylan è un testimone di quello che accade alle persone, difficilmente interviene modificando il corso degli eventi, molto più spesso ne sancisce l’effetto analizzandolo in prospettiva. Interiorizzandolo, psicanalizzandolo.
Bruno Enna si produce in questa analisi sul meta testo e forse abusa di un contesto che in Dylan si è fatto sinceramente troppo frequente. È vero è un esperimento metaletterario, ma manca l’orrore, manca la considerazione sociale sui mostri. Dylan c’è ma è come se non ci fosse.
E restano le voci fuori canto a commentare, quasi come fosse un dialogo tra sceneggiatore ed editor…