Julie e Monica, due donne che si conoscono per casualità. Un gruppo di sostegno che dovrebbe supportarle per via della condizione che affligge entrambe, una malattia degenerativa, ed invece.
Invece nel mondo di Samuel Stern nulla è come sembra e anche questo episodio non è da meno. Savegnago e Fumasoli si misurano con una storia che ha la struttura quasi di un legal thriller a cui sono state però impiantate suggestioni legate al tema portante della serie. Le due donne si trovano in posizioni diametralmente opposte. Ad una, Monica, il marito ha sparato su i gradini della chiesa dove officia Duncan. E l’altra, Julia è l’avvocato della difesa, che deve tener conto che la povera amica è finita in stato catatonico e non si ha certo la sensazione che la situazione possa migliorare troppo facilmente.
Samuel e Duncan intervengono proprio a questo punto. Duncan è testimone, ed entrambi si ritrovano in un’aula di tribunale. Ora, davvero, il più grande successo che questa serie è riuscita a conseguire è l’impatto emotivo nel vedere i personaggi uniti come una famiglia. Ragione per cui, anche se dopo la doppia storia di fine anno il rapporto tra i due sembra essersi rinsaldato, ogni volta che colgo qualche discordanza tra i due tremo. E ce ne sono per la verità.
Anche in questo episodio i due hanno un’ottica differente e la sensazione che non riesco a togliermi di dosso è che se Duncan non avesse preso certe decisioni ne il Quinto Comandamento (ne parliamo qui), il suo atteggiamento sarebbe molto più aggressivo.
Ma veniamo al punto. Sebbene il ritmo quasi procedurale della storia consenta un respiro graduale, quasi dilatato degli eventi, in realtà di cose sotto traccia ne succedono parecchie. Non posso raccontarvi troppo per ragioni di spoiler, ma mi fermo a fare una considerazione piuttosto ampia sul concetto di sincronicità.
Le stesse cose accadono a più persone quando siamo di fronte all’orizzonte degli eventi. Che la crisi sia ormai avviata e fondamentalmente irreversibile, credo che sia un fatto da prendere come assodato. Duncan poco fa era partito per arruolare un nuovo esercito di esorcisti e Samuel per ora, è in disparte, pronto ad intervenire dopo averci capito qualcosa.
Ma in questo orizzonte succede qualcosa di molto interessante e che è insito proprio nel titolo della storia : la crepa. Il famoso punto di rottura di un animo che partorisce un demone. Normalmente un evento drammatico, qualcosa che letteralmente possa spezzarci ma, mai come in queto caso, qualcosa che possa disintegrare e che agisca come diga all’entropia degli eventi.
Non è la prima volta che il legame tra uomini e demoni funziona come un elemento simbiotico, due strutture che si sorreggono mutualmente. Ma mai come in questo caso, l’opportunità ha lasciato i due così discordanti.
Luca Colandrea si produce in pagine drammatiche che con uno splendido naturalismo, raccontano Samuel intento a seguire gli eventi che lo circondano. Il suo tratto, molto plastico, produce una costruzione dei personaggi di matrice statunitense che non guasterebbe in un fumetto Vertigo, se a Vertigo ancora esistesse. La costruzione degli sfondi e della regia e dettagliata e perfettamente integrata nella gestione dei ritmi narrativi dilatati ance se non riflessivi.
È in sostanza una delle prime volte in cui Samuel sceglie di essere testimone di quello che accade parcheggiando l’indole belligerante in favore di una più misurata strategia meditativa.
L’integrazione all’interno del filone principale della trama lascia i vari punti di domanda aperti, specie nell’epilogo, con la maggiore delle curiosità possibili. E con parecchi dubbi irrisolti cui rispondere…