Lorenzo Palloni è un vulcano in piena attività. Ogni volta che mi avvicino a qualcosa su cui ha lavorato, scopro un aspetto della sua poetica che mi era sfuggito. Sia che faccia il super editor per il Color Fest di Dylan Dog che scriva in tandem con altri (del suo precedente lavoro, emma (w)rong scrivo qui) , la sua cifra stilistica non fatica ad emergere, e anzi è semplicemente vulcanica.
In Isole si confronta con due temi importanti. Temi che solo apparentemente sono slegati ma che, anzi, rappresentano due angolazioni dello stesso concetto. In uno assistiamo ad una famiglia declinata tradizionalmente, ma dove le tensioni però non aspettano altro che di lacerare i legami e venire a galla. Il rapporto col il padre, con la figura autoritaria più in generale, viene posto sotto la lente di ingrandimento di tre generazioni differenti. Quello che emerge è un semplice concetto che però non ha nulla di banale. Quando arrivi all’età della ragione puoi decidere se ribellarti od uniformarti alle ideologie di casa tua. In entrambi i casi, perdi qualcosa di vitale.
Ma la concentrazione sulle dinamiche familiari è solo uno dei due aspetti che vengono presi in considerazione. Il secondo è forse quello più drammatico e dai risvolti potenzialmente più tetri. Fino a dove si deve arrivare per proteggere una comunità? Quali imperdonabili delitti e quante mezze verità bisogna raccontare? Probabilmente, si finisce per essere tanto temibili e censorii quanto il nemico che vogliamo sconfiggere.
Ricorda un po’ la massima espressa da Nolan nella sua trilogia del Cavaliere Oscuro. Muori da eroe o vivi tanto a lungo da divenire il villain. E questo vale tanto per i padri di famiglia che per i capi tribù.
In Isole ci troviamo in un posto dimenticato da tutti, preso nel mezzo di un conflitto tra due eserciti potentissimi. L’arcipelago non rappresenta nessun tipo di potenziale bellico, al punto che viene usato solo per tenere dei prigionieri. Che si ribellano e nel silenzio scompaiono tra i boschi formando una comunità.
Anni dopo la storia riparte dalla comunità ormai divenuta solida e dall’isola, lussureggiante, un piccolo paradiso in completo equilibrio. Tutti fanno qualcosa, tutti sono essenziali. Anche se, appunto, le regole delle comunità sono molto rigide. Non bisogna farsi vedere, non bisogna contattare gli estranei perché potenzialmente pericolosi. Per cui immaginate lo squilibrio quando, trasportato da una mareggiata, uno straniero arriva e, apparentemente si direbbe solo alla ricerca di un posto dove poter ricominciare.
Democrazia, autoritarismo. Tradizione, progresso. Tutto salta all’aria per una piccola variante che modifica gli equilibri. E non voglio raccontarvi nessuno sviluppo per non rovinarmi la storia che è avvincente fino all’ultimo piano sequenza.
Affrontiamo l’elemento grafico. Palloni è un autore completo capacissimo di rendere il suo design unico e adattabile ad ogni evenienza. Il percorso di stilizzazione riporta quasi al Gipi delle Terra dei figli. Ma qui il respiro è molto più carico di speranza. Al di là della palette di colori usati, che ci riporta ad una natura lussureggiante e sovrana. Anzi, i residuati bellici pieni di vegetazioni, le piccole casette affrescate come un panorama mediterraneo portano subito alla memoria il Conan di Miyazaki. Anche il character design sembra omaggiare gli stilemi dello studio Ghibli, addossandosi però qualche puntò di acidità che fa tutta la differenza del caso.
La regia è dinamica ma puntuale. Quello che ci viene raccontato è esattamente quello che l’autore vuole mostrarci, esattamente quando vuole mostrarcelo. In questo Lorenzo merita davvero un applauso.
Graficamente e narrativamente, malgrado il concetto di tribù sperduta riporti al Signore delle Mosche, tutto viene svolto con una freschezza e controllo inusitati.
In fine, da sottolineare la splendida edizione SaldaPress che, ultimamente, sta presentando dei libri davvero curati e ben confezionati.
Bravi.