Il Dylan che esce questo mese porta due tra le firme più classiche che il mensile ricordi, Luigi Mignacco e Corrado Roi. Ed infatti, sin dalla prima tavola, il feeling che emerge è profondamente legato al periodo più classico del protagonista.
Essendo un estimatore del lavoro di Roi, non posso non apprezzare la bellezza del suo tratto rarefatto. Le sue figure, marmoree inserite in un contesto che ha tutte le connotazioni oniriche necessarie ad un indagatore dell’incubo. Complice l’ambientazione in questo caso, la brughiera inglese, nebbiosa e carica di mistero.
Quasi come in una commedia shakespeariana, l’indagatore dell’incubo si risveglia in un paesino disperso nel nulla, privo di memoria se non quella di un assalto da parte di una creatura antropomorfa e bestiale.
Mignacco intesse bene una storia legata in profondità al folklore inglese. La bestia che si aggira nelle notti di luna piena è un elemento tipico di un certo tipo di fiaba della buona notte. Qui però si declina in una accezione faustiana che aggiunge un tocco bizzarro e squisitamente diabolico.
Non posso rivelarvi troppo sulla trama per non rischiare di rovinarvi la lettura, ma posso dirvi una cosa o due sul ritmo del racconto. Seppure apparentemente lento e cadenzato, il Dylan che scopre, o meglio che riscopre, informazioni di una certa rilevanza per lo scorrere della storia, si presta a perfetto punto di vista interno per il lettore. Insieme a Dylan scopriamo gli orrori del misterioso villaggio e insieme a lui comprendiamo che quelle che, apparentemente, sembrano solo stranezze, in realtà celano qualcosa di più ampio e tremebondo.
La narrativa si infarcisce persino di elementi urbani, legati forse ad una tradizione più tipica del Dylan moderno. Ma questa è l’unica concessione fatta al nuovo corso narrativo. Per il resto si tratta di una storia che mantiene un altissimo standard classico. Queste episodio si sarebbe potuto inserire tranquillamente tra i primi duecento, o forse tra i primi cento. L’impeto narrativo, infatti si consuma tra i canovacci del romanzo gotico presentando una storia di orrore universale.
Sulle matite di Roi non si potrebbe dire mai bene abbastanza. La fisicità stessa di Dylan è differente quando passa per le sue chine. A partire dalla scena del risveglio in prima pagina, ci troviamo davanti alla più classica delle sue versioni, in omaggio a questo, lo troviamo persino intento a conquistare una fidanzata occasionale (con tanto di finale in linea con un simile personaggio).
L’ambientazione rurale è un passo in più per le sue tavole, di solito inserite in un contesto molto più urbano. Le case a due piani, i piccoli pub e gli arredi poveri fanno tutti parte di un contesto lontano anni luce dalle mille luci di Craven Road.
Cionondimeno la storia convince, incolla pagina dopo pagina portandoci mano a mano verso un finale capace di ribaltarne la prospettiva introducendo una sequenza degli eventi intuibile dai pregressi ma definitivamente catartica.
Una storia dove ogni elemento funziona nel modo giusto, regalandoci un frammento di britannicissimo folk horror.