Il Dylan raccontato in questa storia si riallaccia a percorsi norreni, reinterpretati però, con una sensibilità moderna, che non trascura il principio femminile. Si tratta di una interpretazione più adatta alle sensibilità moderne ma che presenta solide basi antropocentriche.
Quello che viene assemblato in questo episodio, è un corpus mitologico super diramato e definitivamente complesso. La sua ossatura è la mitologia norrena di Ghorm, il dio che compare in copertina e che presenta una cospicua similitudine con il death dealer di Franzettiana memoria. Non solo : per qualche ragione, se non altro ideologica, vedo un rimando a Gorr il distruttore di dei creato da Jason Aaron per il suo ciclo sul mitico Thor (più o meno lo stesso personaggio che dovrebbe comparire in Love & Thunder interpretato da Christian Bale). Ghorm è una divinità maschile, volta ad imporre il suo ego sulla sorella e le sue tre figlie gemelle, non ancora nate. Il suo ruolo è quello di essere alfiere di un Nulla quasi buddista.
Ed in difesa di questo che prova a tener prigioniere le sue tre nipoti in sarcofagi di pietra celati agli umani. Almeno fino ai giorni nostri.
Dylan viene coinvolto in questa curiosa stravaganza da Floor una delle tre gemelle nonché musicista metal, che tanto sembra debitrici della potenza femminile di Cristina Sabbia, l’italianissima cantante solista dei Lacuna Coil. Inutile negare che l’intera impronta narrativa segue dei ritmi circadiani che si assommano ad una struttura ciclica che porta Dylan quasi a subire questa avventura, quasi come fosse un turista del proprio albo.
La sua presenza ne è un punto fermo, ma allo stesso tempo funziona come testimone narrativo, perfetto per potersi calare all’interno delle sire insidiose di questa struttura. Perché insidiosa lo è davvero, e basterebbe davvero un nonnulla per far scivolare tutto in un binario morto narrativo.
Invece Carlo Ambrosini riesce a tenere salde le redini e, quello che ne emerge, è un racconto dal sapore sprezzante e marcatamente onirico. Non tutto viene spiegato, ma non tutto deve esserlo. Quello che accade è davanti a noi, un puro svolgimento che ci conduce in stanze disconnesse con una facilità a-schematica. Restano i dubbi, la costante sensazione che proprio perché ci si trova davanti ad un sogno di mezza estate, nulla sia davvero concreto. Ma sarebbe davvero una faciloneria considerarla a questa maniera.
Dal punto di vita grafico, probabilmente si percepisce la cifra stilistica di Ambrosini che si mantiene su limiti drasticamente classici. Lo sfasamento di alcune anatomie, la gestione di tavole dove sembra quasi che una coscienza non troppo vigile ci mandi avanti, ci porta a pensare ad un sogno ad occhi aperti.
Ambrosini è un irregolare della matita, pur mantenendo un grado di controllo della regia virtualmente indelebile, in alcuni casi le anatomie risultano compromesse presentando un layout da cui ci stacca veramente a fatica per trovare un passaggio verso la tavola rifinita.
In sostanza questa nuova estate dylaniata inizia con una carica sperimentale impressionante. Tanto da lasciarci a chiedere se sia davvero lo stesso personaggio oppure no. Ma sappiamo da anni che Dylan fa a volte giri immensi per tornare al suo comodo appartamento in Craven road, pur rimanendo sempre fedele a se stesso.
Di questa storia serberò un ricordo contrastante ed affaticato, ma non si può ignorare il fatto che tanto di quanto è stato raccontato, conscio o no, mantiene la stessa conformazione logica di cui sono fatti i soldi.
E questo la spiega, credetemi, altre che no.