E’ inutile negarlo, io per il commissario Ricciardi, come per tutti gli investigatori emaciati e maledetti della letteratura noir, ho un debole. C’è qualcosa di maledettamente affascinante nelle cupe melodie di cui si intesse la loro esistenza.
Il commissario Lugi Alfredo è una summa di tutto quello che l’animo umano può subire. Solitario, appassionatamente innamorato di un amore inconfessabile. Un amore legato alla sua terribile maledizione. Quella di vedere i morti riprodurre come in brevi proiezioni l’ultimo pensiero che li ha accompagnati nel momento del passaggio.
De Giovanni non racconta mai troppo del dono. Non lo spiega, non prova a dare una organizzazione illuministica. Al contrario, la sua creatura, pur conscia di non essere il solo nella sua famiglia a trovarsi in una condizione simile, teme la pazzia. E la pazzia nel regime del tremebondo ventennio, non è certo una cosa da pubblicizzare.
Arrivata a Serenata senza nome, la serie di romanzi grafici ispirati agli omonimi romanzi è ormai nel pieno della maturità. A onor del vero De Giovanni ha promesso di ritornare entro la fine del 2022 alla sua creatura prediletta, ma fino a questo punto, siamo prossimi alla conclusione delle vicende del commissario e del suo gruppo, quanto mai eterogeneo di personaggi.
Cosa che si riscontrava già nei romanzi originali, ma che qui Sergio Brancato sceneggia con tocco sapiente, il meccanismo più oliato, permette maggiori digressioni. Così maggiore spazio è offerto ad Enrica, la bella maestrina dirimpettaia che da anni viene corteggiata silenziosamente da un riluttante Ricciardi. Il sentimento è reciproco, ma la mancanza di iniziativa, unita ad i rigidi costumi del tempo non aiuta gli sfortunati amanti (e sapeste cosa gli sta per accadere!).
Ma alle vicende personali si intrecciano ovviamente quella della regia questura. Che in questo caso fa pressioni su Ricciardi affinché si decida ad arrestare un pugile malmesso, reo soltanto di aver rinunciato al ring dopo aver ucciso un avversario di colore. Il pugile però è anche il primo amore di una donna, disperata anch’essa, e moglie di un uomo ucciso di prima mattina con lo stesso colpo alla nuca che ha rovinato la carriera al pugile.
Il dramma, la tensione, il ritmo rallentato fanno il resto. Anzi, da quando le storie si complicano, ed anche sentimentalmente offrono uno spaccato teso di quello che passa per la mente di Ricciardi, anche il dono sembra spegnersi.
Affrontare le storie del commissario è un atto di fede. Se l’intreccio potrebbe ricordare il melodramma caro alle reti nazionali, la verità è che si tratta di un eterno conflitto tra la passione che punta a sgorgare da ogni cuore, ed il rigido costume che impone la Storia. Leggere ora Ricciardi ci dà la possibilità di assaporare un’epoca arcinota e eppure poco frequentata.
Napoli è un personaggio anch’essa di questa umana tragedia. Seppure si tratti di storie che poco ricordano l’avventura e l’azione adrenalinica ma che, al contrario, determinino un delicato passo di danza tra pulsione e raziocinio. Alessandro Nespolino ne sa cogliere alla perfezione i dettagli, ricavando delle tavole approfondite e cariche di particolari. Lo sguardo emaciato di Ricciardi trionfa su tutti, ma in realtà ognuno dei volti, delle personalità rese in queste pagine è dotato di una sua particolare connotazione.
La regia di Nespolino e la sceneggiatura di Brancato si fondono alla perfezione, dando attenzione ai minimi particolari ma non lesinando sul grande respiro che anima questa vicenda. Una lettura importante, sfidante, ma estremamente soddisfacente.