Il pianeta dei morti è un culto. Una leggenda dentro una leggenda. Il contrappasso perfetto dove l’eroe bello e perennemente giovane, invecchia ed il suo mondo collassa. Alessandro Bilotta ne è completo artefice e offre una resa prossima al metafumetto. La sua storia editoriale, composta da speciali annuali è vissuta di alti e bassi, perché purtroppo o per fortuna, un pubblico come quello di Dylan Dog è esigente e mal digerisce le trasformazioni ed i cambi.
Ed il pianeta non è tra quelle storie capaci di mettere d’accordo tutti. Al contrario la sua resa a volte è in controtendenza, spiazza, fa discutere.
Pensate a questo quarto volume. A rileggerne la storia ora sappiamo che la saga non finisce. Ma lo sappiamo col senno di poi. Quello cui assistiamo, al contrario, è il definitivo showdown con Xabaras, l’Avversario. L’entità che molto prima di John Ghost si opponeva all’inquilino di Craven Road ed il cui legame era però indissolubile.
Qui la storia è tutta dal suo punto di vista. Come gli altri personaggi della saga, è invecchiato, indebolito. Ma la sua spinta, pur essendo ottenebrata, non è scomparsa. Suo è infatti il desiderio di sconfiggere la morte. Il problema con questo tipo di desiderio è che bisogna stare attenti a come lo si formula. Vita eterna ed eterna giovinezza non saranno mai la stessa cosa.
Alla stessa maniera, sconfiggere la morte porta a quella non-vita che popola l’universo del Dylan anziano. Xabaras ne è quasi una celebrità. Perché in fondo, nelle catastrofi, c’è sempre chi si schiera dalla parte del male più atroce. E qui è lo stesso, uomini folli che si spingono oltre ogni limite con la speranza di non-vivere piuttosto che morire. La figura di Xabaras è resa terribilmente umana da Bilotta. Lontana la figura dell’avversario diabolico di matrice sclaviana, i baffetti alla Gomez Addams.
L’uomo che si pone davanti a Dylan è un avversario suo malgrado, fragile, umano, profondamente bisognoso d’affetto. Ricomincia le sue ricerche per un bisogno profondo d’amore, di non essere abbandonato a se stesso.
Dylan in tutto questo è una presenza ectoplasmica. Un testimone che attraversa gli angoli di questa storia comparendo solo in terza persona. In questo volume ci resta poco delle sue motivazioni. Sappiamo solo che dà la caccia al vecchio avversario, senza che ci sia bisogno di spiegare ulteriormente le motivazioni.
Le matite di Sergio Gerasi dovrebbero accompagnare sempre le fatiche di Bilotta. Tra i due c’è una sinergia professionale completa. Dall’espressività dei personaggi fino alla pienezza delle tavole, tutto contribuisce a dare profondità a questo mondo e noi, morbosamente non vediamo l’ora di andare a vedere cosa altro hanno in serbo per noi. Va sottolineato in positivo, che lo stile di questo volume, più datato rispetto al dettagliato e personalissimo taglio degli ultimi speciali (ma anche a L’Aida, tanto per fare un esempio) ne sottolinea l’evoluzione. Se quello cui assistiamo è l’evoluzione del tratto in soli pochi anni, sono curioso di vedere dove sarà Sergio tra dieci anni. Va sottolineato come, le scene dove dominare è la rabbia di Xabaras, sul finale, costituiscono un unicum sperimentale particolarmente interessante.
Torniamo al finale, già, proprio quello. Raccontarne gli elementi porta ad innumerevoli domande. È abbastanza probabile che qui, l’introduzione di Godwin Dog avrebbe relegato il pianeta dei morti ad una sort di Terra 2. e si, sappiamo che il concetto delle realtà parallele prosegue di pari passo con le storie di Dylan Dog, ma si sarebbe potuto rischiare forse una eccessiva specializzazione della storia.
Va da sé, anche il questo caso, Bonelli produce un volume carico di dettagli e con interessanti aggiunte, spingendo la collezione di questa saga, un passo più avanti.