Roma, città eterna, monumentale. Celebrata al cinema ed alla radio. Dall’America al neorealismo. Roma, in ultima analisi, quella della Grande Bellezza. Contrasti e patimenti, inezie e godimenti.
Come Sorrentino, Bilotta ha un rapporto conflittuale con Roma. Sicuramente la ama, ma è un amore che a volte si tinge di repulsione. E da quell’amore nasce prima Mercurio Loi, illuminista e genio mal compreso da un mercato che tende al ribasso. E poi Alceste, personaggio edonista e spietato che spopola nelle tavole di questa Eternity.
Non è un caso che ci sia una connessione tra i due personaggi. E le pagine di Eternity rispecchiano i canoni più eclettici della poetica di Bilotta. Chi segue il lavoro di Alessandro, sa che si tratta di meta fumetto dove una lucida analisi della nostra realtà si riflette in pagine a volte distopiche a volte terribilmente realistiche, accogliendo l’occhio di chi scruta, in un vortice morboso da cui è impossibile distogliere poi lo sguardo.
Come vuole il detto, a scrutare negli abissi, finisce che gli abissi scrutano dentro te.
La Roma di questa serie è eterea ma anche terribilmente realistica. Ci sono elementi legati al presente, ma allo stesso tempo un traffico ed uno stile di moda che, in caso, rimanda alla Dolce Vita. La tecnologia però, in alcuni casi, le ansie da tempo presente, sono squisitamente proiettate nel futuro.
La Roma di Alceste, gossipparo con stile, è animata da influencer e da attori di fotoromanzi che hanno l’epidermide colorata con la stessa tinta della pellicola a colori. Una sorta di Pleasantville della nona arte.
Ma la deriva cinica di questo mondo, dove per pochi follower tutti mettono in gioco quanto di più sacro hanno a disposizione ha, come sempre, molteplici chiavi di lettura. Così assistiamo alla relazione tra Alceste e Lucrezia, influencer legata ad uno scandalo, che passano dal sesso alle confessioni intime.
Ed in quell’intimo precario, legato a quello che puoi scambiare quando tutto va in pezzi, Lucrezia ed Alceste parlano dei farmaci con cui sarebbe più indolore trapassare, fino ad arrivare alla più tragica delle verità.
Deve passare la nottata, si. Ma poi cosa c’è?
Coadiuvato alle matite, in questo primo volume, c’è Sergio Gerasi. I due sono qualcosa di più importante delle singole parti dai tempi di Walter Buio. E lo stile di Sergio si evolve ad una velocità impressionante.
Come per L’Aida, volume di un paio di annetti fa, Sergio riesce a rendere scorci caratteristici con uno stile algido ed impeccabile. Le sue corporature dinoccolate, le anatomie sottili, prossime a perdere l’equilibrio sono perfetto per una storia ad altissima caratura decadente.
I suoi personaggi non temono l’entropia, ci ballano serenamente accanto.
Un applauso va invece alla colorazione, acida proprio con in L’Aida, che trasmette una sottile rifrazione elettronica, da EDM in downtempo.
Il volume che avete davanti, confezionato ottimamente da Segio Bonelli Editore, è una storia di sensazioni. Succede parecchio, ma alla fine è lo zeitgeist a trasmetterne la vibrazione.
Quello che accade è un piccolo delicato equilibrio. Quello che ci resta da fare, è restare ad applaudire mentre l’arancia rosseggia ancora sui sette colli appena un attimo prima che inizi un nuovo rave per quei vecchi malandrini dei vitelloni, che dopo Fellini, e dopo Sorrentino, dopo la Suburra e Mannarino, popolano ancora inevitabilmente Roma.