Tira una strana aria sulle pagine del mensile dedicato all’inquilino di Craven Road. Voci che si sovrappongono e che fanno il giro, voci che diventano speranze e che si mescolano a comunicati stampa. Perché, si sa, il fandom di Dylan è tra i più suscettibili quando si tratta di modifiche allo status quo. Ed è inutile negare : hanno ragione.
Ma questo ancora non ci dice nulla su questo episodio che vede Gigi Simeoni alla prova come autore unico in una storia che ha tutta l’aria di omaggiare l’anno dantesco portando il nostro, assieme a Groucho e ad un’altra vecchia conoscenza, a visitare niente meno che, l’inferno.
E qui si dovrebbe aprire immediatamente una parentesi. Anni fa, ad un corso di scrittura (e lettura!) creativa, mi trovai a dibattere della differenza tra Poe e Lovecraft. Il relatore dell’epoca si limitò a dire che mentre uno rappresentava gli orrori che si portava dentro, l’altro raccontava orrori esteriorizzati. Frase che allora doveva ancora mettere radici dentro la mia giovane e sconvolta mente.
Ma che ora, soprattutto confrontandomi con la poetica dell’Old Boy, trovo perfettamente chiara e calzante. Se volete la mia, l’inferno che dovrebbe visitare Dylan è quintessenza mentale. Creature generate dallo scontro tra la nostra percezione e la realtà dei fatti. Orrori subdoli, violenti, mostri generati da noi stessi. L’inferno che vediamo qui rappresentato è veramente molto bello, e Simeoni utilizza delle splash pages che a tratti sono sorprendenti. Ma si tratta, come vi dicevo, di una percezione esteriorizzata del regno della narrazione. Un topos narrativo, ben alimentato e crudelmente funzionale.
Parlavo poi di vecchie conoscenze. Ed il riferimento qui è ad un personaggio comparso nel numero 308, Joe Grady, uno dei vecchietti che si ferma a guardare i cantieri. Nel recente continuum dylaniato infatti, questi simpatici frequentatori di parchi e baretti, hanno una funzione sociale ben definita, per quanto eterea. I cantieri sono dei nessi tra più realtà e fissandoli si impedisce ai mostri di emergere. Come vi dicevo, interiorità.
Questa volta viene ritrovato davanti al cantiere qualcosa con un peso specifico infernalmente possente. Al punto che il suo interno contiene la summa di tutti i riferimenti pop a matrice diabolica (ci trovano spazio i Beatles ma non, per esempio gli Iron Maiden!) e da là il passo è breve per raggiungere la spianata dell’inferno dove una creatura in particolare sfiderà il vecchio Joe al gioco del pollo.
Nel mezzo trova spazio un breve tour infernale che, girone dopo girone, porta i nostri al delirante incontro finale. Dato il peso assai gravoso dell’ambientazione, va sottolineato come il tratto di Simenoni, caricaturale il giusto, permetta di alleggerire l’atmosfera. Il suo tratteggio, carino e assolutamente netto, lascia poco spazio alle sfumature. Nel mentre mantiene una vena che rimanda in egual misura a Magnus ed Arthur Adams, rendendo il tutto, marcatamente post moderno. Nelle splash pages, che sono del tutto inusuali per un albo formato quaderno, tutta l’ampiezza narrativa esplode, mostrando al massimo la capacità di Simeoni di disegnare tavole ricche di dettaglio e dense di contenuti.
Si tratta di una storia curiosa, che mette in evidenza come la continuity in un prodotto seriale dovrebbe funzionare. Il solo punto interrogativo, intanto che le chiacchiere sul futuro di Dylan proseguono è se, in caso, questo modello narrativo, sia proprio il prototipo rivoluzionario che va adottato per uscire dall’ombra sclaviana del personaggio.
Posto che questo sia davvero il limite che ci si è imposti di superare.