La scrittura di un giallo è un meccanismo ad orologeria preciso e funzionale. Uno degli elementi fondamentali, è che tutto debba funzionare in un perfetto meccanismo ad incastro dove tutti gli elementi finiscono per avere una spiegazione logica e possibilmente razionale.
Ragione per cui, l’elemento sovrannaturale dovrebbe stridere del tutto, facendo mancare quella particolare meccanica legata alla razionalità. In questa storia di Pontrelli e Vanzella, alcuni di questi topoi vengono completamente sovvertiti ma, grazie alla sospensione dell’incredulità, il meccanismo ad orologeria non viene sovvertito e, anzi, ci troviamo in una storia, dove trama ed intreccio non sarebbero per nulla dispiaciuti ad Hercule Poirot.
In un canovaccio che trae massima ispirazione proprio dagli stilemi più classici del genere, i parenti di Maribel, defunta da poco, si ritrovano nella sua vecchia e mal raggiungibile villa nella speranza di poter raccimolare qualcosa del suo cospicuo patrimonio. Tra matrimoni di interesse, tradimenti ed avidità contingenti, ce ne è abbastanza per riempire ore di conflitti psicologici. Ma, la sorpresa più stravolgente, non è tanto trovare Dylan Dog nell’inedita veste di esecutore testamentario, quanto di vederlo, in una delle rare occasioni, privo del suo classico completo.
Dylan è stato ingaggiato proprio da Maribel che, no, non è affatto rediviva. Ma essendo alquanto redimorta ha chiesto al suo fedele maggiordomo di fare un salto a Londra per coinvolgere il nostro. Perché, e là sta il problema, Maribel non è proprio così convinta di essere trapassata in maniera naturale. Anzi, al contrario, nutre la convinzione che uno dei suoi serpenti …ahem, parenti, possa essere stato coinvolto nello spiacevole trapasso.
Lo svolgimento della trama prevede cena con delitto e drammi familiari a gogo. Ed in effetti, man mano che si innesca la tensione, non cade mai di tono. Tutti i convitti sono, in qualche misura responsabili della fine della congiunta (siamo in un giallo, quindi non è tanto il cosa, ma il come ad interessarci), ed i meccanismi di infelicità che portano degli adulti legati tra loro ad odiarsi cordialmente, emergono piano piano, uno ad uno. Tutti hanno un passato ed una ragione. E man mano che emergono i fatti, il fantasma di Maribel si fa presenza sempre più opprimente e vendicativa. Ricordando per certi versi la tensione di Hill House (versione Netflix, non versione libraria).
Quello che rende il tutto ancora più interessante è che le vittime della vendetta, diventano a loro volta fantasmi, in un meccanismo perverso e morboso. Anche l’arzillo ectoplasma di Maribel non è affatto esente da colpa e, anzi, il cerchio si chiude alla perfezione quando uno dei trapassati confessa a Dylan che, in fondo, si meritano perfettamente l’inferno che si sono costruiti.
Già, relazioni familiari ed inferno a volte sono sinonimi, e la storia, man mano che si snocciola, ce lo prova costantemente. È interessante trovare Dylan in questa vena atipica e slegata dal suo solito continuum. La cosa non spiace affatto e, anzi, permette di vedere dei riflessi nuovi, forse legati più alla brusca virata da romanzo gotico del finale che al meccanismo del giallo.
Ma, credetemi, il momento in cui fa la sua comparsa in un perfetto abito nero, tutto il suo carisma, nello splendore di un film in cinemascope, si palesa, aggiungendo nuovi colori alla tavoletta narrativa del nostro caro investigatore dell’incubo.