La storia raccolta in questo volume appartiene alla categoria delle slice of life. Ossia si tratta di storie molto spesso autobiografiche dove assistiamo a racconti intimisti, molto spesso di eventi chiave della vita dell’autore.
Ecco, Ducks è sicuramente tutto questo. La storia di formazione di Katie Beaton, che le è valsa l’Eisner Award è tutto questo. Ma in realtà è molto di più. In primo luogo perché racconta una storia di Lavoro Vero, e non è una cosa tanto comune in racconti di questo tipo. Katie approda al mondo del fumetto quasi per caso, e solo dopo essere entrata in contatto con un mondo rude ed estremamente brutale in tutta la sua sincerità.
Il sottotitolo ci spiega molto in effetti. Due anni nella sabbie bituminose. Per chi non lo sapesse, e credo molti, le sabbie bituminose sono un composto da cui si può estrarre petrolio con una serie di processi estremamente complessi. Adesso se ne parla molto meno, ma quando i costi del greggio erano più alti, quella delle sabbie bituminose era una valida alternativa ai pozzi di estrazione.
Il punto principale è che queste sabbie bituminose si trovano principalmente nel Canada occidentale e questo ha fatto sì che, anche nel civilissimo Canada, si costruissero, praticamente dispersi nel nulla, degli avamposti di estrazione dove gli operai e gli impiegati vivono in baracche per risparmiare più soldi possibili, ma con un livello di abbrutimento e malessere psicologico tremendo.
La cosa che non sapevo, è che anche in Canada i costi di una istruzione universitaria sono assurdamente alti. E proprio per non rimanere strozzata in debiti lunghi una vita che Katie decise di lasciare la sua casa nella parte orientale del paese per dirigersi in uno di questi campi.
Il racconto che ne fa, è a tratta straziante. E riesce a toccare tutta una serie di punti che a mio parere fotografano con attenta precisione la nostra società. Immaginate una ragazza nel pieno dei vent’anni, convinta di aver fatto di tutto per raggiungere una istruzione in grado di garantirle un lavoro sicuro, protetto, e che invece è costretta a lasciare tutto per andare a vivere in baracche dove il rapporto tra uomini e donne e di 1 a 50. E questo è il secondo elemento che viene affrontato.
Ducks non è propriamente un romanzo femminista, e neppure una tirata sulla parità dei sessi. Quello che viene raccontata è proprio la difficoltà di integrarsi in un mondo dove la stragrande maggioranza della popolazione è maschile. Composta di uomini o completamente rassegnati ad un destino sporco e fangoso o da giovani ancora speranzosi di riuscire a cavarci un futuro radioso. In entrambi i casi l’assenza di donne trasforma tutti in potenziali predatori sessuali. Katie ha esperienze complesse. Dalla fila di uomini che passano in attrezzeria solo per vedere come sia la nuova arrivata, ai commenti sessisti, all’interesse di qualcuno che le si avvicina solo perché è l’unica alternativa. Fino alla violenza vera e propria.
Il racconto della Beaton non è mai accusatorio, anzi, quasi chirurgicamente si chiede se la colpa possa essere stata la sua ad ubriacarsi (questa cosa è tristemente all’ordine del giorno nella nostre bella italietta) e quasi giustifica il comportamento dei suoi colleghi, vittime a suo dire della situazione.
L’ultima chiave di lettura è proprio quella di come questa esperienza (ma diavolo, non è così per tutte?) ti cambi nell’intimo. La ragazza che parte per i campi è completamente differente da quella che vi fa ritorno appena due anni dopo. E c’è una scena sul finale che mozza il fiato. Ve la racconto senza tema di spoiler.
Tornata alla vita di tutti i giorni, una sera Katie riceve assieme a delle amiche dei commenti sgraditi da alcuni ragazzi incontrai in un pub. Lei rimane immobile, non reagisce, davanti agli sguardi attoniti delle sue amiche che si chiedono perché non dica nulla. In quelle poche parole c’è la sintesi di tutta la storia. Cosa succede quando i tuoi ideali, le tue credenze si scontrano violentemente con la vita di tutti i giorni?
Graficamente Duck si inserisce nello stesso filone creato da Tilly Walden, con un tratto grafico sintetico ma efficace, spinto quasi al limite del caricaturale. Il punto di volta è la descrizione grafica dei paesaggi, e dello scontro tra tecnologia e natura. Tutto in ogni caso è gregario alla funzione narrativa.
C’è un ultimo elemento che trancia il fiato alla fine della storia. Vivere in quei posti non è sicuro, la gente si ammala e non solo psicologicamente.
La prova di tutto questo è nella postfazione della stessa Katie. Nel racconto di come quello che viene dopo ti colpisce con una violenza emotiva che meriterebbe una storia a parte.