Una cosa è chiara, il pianeta dei morti è trapassato. Lo speciale 35, sancendo le origini segrete del morbo e di Groucho è stato fondamentalmente un piccolo capolavoro di commiato.
In concomitanza con l’arrivo della nuova curatrice una nuova saga ne ha preso il posto e, in questo nuovo albo, Bilotta e Gerasi ci raccontano una storia di amore lirica e passionale. O perlomeno, ce ne raccontano la loro versione.
Partiamo dall’aspetto grafico. Gerasi è forse il miglior disegnatore che abbiamo a disposizione in Italia. La sua capacità di mutuare il tratto classico e sensuale di Crepax, con una modernità mai prepotente ma anzi, sorprendentemente delicata è ormai la sua cifra stilistica. Dylan nelle sue mani ritorna un giovanile Rupert Everett con un carico di espressività energica e partecipata. La sua regia, specie in una storia tanto particolare, fornisce un ausilio irrinunciabile.
Tavola dopo tavola ci innamoriamo dei due protagonisti, empatizzando con le loro ansie ed applaudendo ai loro successi.
Se tutto questo accade, è perché Bilotta è dannatamente bravo a raccontarci i due protagonisti nella loro intima fragilità. La loro, è una storia d’amore come mille altre, annegata in un oceano di sliding doors e piccole asperità.
Dylan reincontra una vecchia conoscenza, Opal, già presente nello speciale precedente, ed assieme, per caso, si innamorano, si raccontano le storie passate e le proprie idiosincrasie. Fin qui tutto bene, anzi, sento fortissimo il richiamo di 500 days of summer, divagazione sulle relazioni post generazione X di Marc Webb (con la mai troppo bella Zooey Deschanel).
Alessandro Bilotta, da sommo conoscitore della poetica di Dylan, tesse una tela che si annoda a più riprese al passato dell’indagatore dell’incubo e che, soprattutto indaga in quel territorio privilegiato che è stato per anni il meta fumetto multiversale.
È proprio uno scrittore di fumetti che gioca il ruolo di deus ex machina. La sua presenza è triplice infatti, narratore, narrato e comparsa. In questo ruolo, trama ed intreccio diventano un complesso labirinto che potrebbe comportare quasi il rischio di perdersi per strada. Se fossero mani meno sapienti a scriverne il soggetto, forse.
Ma Alessandro Bilotta è molto più capace, e la storia che ne emerge è una delicata riflessione dove Dylan e Opal rinunciano ad un futuro radioso per timore che questo potrebbe ingenerare infelicità negli altri. Sono incredibilmente altruisti forse. Ma altrettanto malinconici quando scrutando l’orizzonte cominciano a sognarsi invecchiati e finalmente risolti.
In fondo non si tratta di una storia d’orrore. Se non vogliamo considerare come vero orrore quello che attraversiamo quando dal tepore della felicità ci troviamo al freddo e soli. Ma conoscendo il fandom di Dylan non posso non considerare che, alla fine, ci saranno molte facce scontente per questo delizioso gioiello intimista.
Ed invece è proprio quello il punto che va indagato. Dylan è un personaggio maturo, capace di attraversare i generi e di rimanere sempre uguale a se stesso.
Vi faccio un esempio. In una delle scene iniziali, Dylan esprime il desiderio di ascoltare un disco dei Nine Inch Nails. Sulle prime, sono rimasto colpito, per la citazione forse fuori luogo.
Poi un amico mi ha fatto riflettere (grazie Enrico!), ricordandomi che per Dylan, the number of the beast, è un disco classico.
Ecco. Come non esiste un unico Dylan per tutto il fandom, forse è giunto il momento che di Dylan possano venirci raccontate anche altri tipi di orrore.