Con l’ultimo romanzo grafico di Giacomo Bevilacqua, è in corso un esame di coscienza. Arrivato a quell’età che, una volta, veniva definita adatta ai bilanci, Keison prova a gettare via la maschera del Panda per scavarsi a fondo. E lo fa con un sistema che approfondisce l’analisi in modo nemmeno tanto figurativo.
Il racconto è quello di un anno di vita dell’autore, ma anche un modo per sondare il legame con la creatura che forse più lo ha reso famoso. Quel Panda che da più di un decennio popola strisce a fumetti godibili per giovani e meno giovani, proprio per via delle molteplici chiavi di lettura.
Il punto è, che per Giacomo ormai, la sensazione di essere divenuto lui Panda è fortissima. E l’arrivo di un bambino nella sua vita è l’occasione per fare i conti con la propria esistenza.
Ed il bilancio che ne viene tratto, intervallato da alcune tavole con protagonista Panda, è un perfetto sunto della sua esistenza. Vita lavorativa, sentimentale, rapporto col passato e preoccupazioni del futuro. A quaranta anni è normale, e credo che in un modo o nell’altro tutti debbano passarci.
La cosa che mi ha colpito è che Keison non nasconde nulla. Dalla sua invidia (poi divenuta amicizia) con Zerocalcare al suo status di privilegiato. Già privilegi. Quello forse è il punto principale della storia. Giacomo avverte dei dolori fisici mentre disegna e realizza che sono in un certo modo il riflesso della sua condizione. Non riuscire a smettere di disegnare perché in fondo sa che chiunque lo accuserebbe di lamentarsi dell’essere riuscito a realizzare il suo sogno. Si difende Bevilacqua, da questa considerazione, forse anche con troppa indulgenza. Spiega che in fondo anche fare il fumettista richiede sforzi e sacrifici e subito dopo si affretta a raccontare una lista di posti nel mondo visitati negli anni recenti e non goduti per colpa del suo lavoro.
Ok. So cosa starete pensando. Gli piace vincere facile. Ma non troppo. Perché, se devo essere sincero, nella sua analisi, si espone. Racconta se stesso con pregi e difetti e non si fa troppe paranoie pensando alle possibili reazioni. Non esterna il senso di colpa che potrebbe mostrare Zerocalcare. Forse racconta una variante borghese delle conseguenze del successo, ma è un dato di fatto che si tratta di una nevrosi dei nostri giorni.
Mentre leggevo le pagine del libro, e devo dirlo, lo facevo con una curiosità quasi morbosa, mi venivano in mente le dichiarazioni di Alberto Sordi. Di quel preciso momento della sua vecchiaia in cui raccontava di non essersi potuto sposare perché in fondo, lui lavorava tutto il tempo.
Quello che tocca alla Me Generation è un destino più complesso. Dover raggiungere, anche in chiave sociale, determinati obiettivi, e rendersi conto, forse troppo presto, e comunque troppo velocemente, delle curve sbagliate che prende la nostra esistenza.
Giacomo è stato un gran lavoratore, ma ha messo su famiglia. Si è sposato ed ora ha un figlio. E trovare un nuovo equilibrio, che gli permetta di mostrare i suoi veri colori, è la chiave di tutto il libro.
Mi viene in mente un’altra cosa. Un episodio dell’Uomo Ragno pubblicato ai tempi da Star Comics. Durante una particolare crisi, non ricordo ora quale, Peter Parker si rende conto di non saper smettere di scherzare una volta indossata la maschera.
Il dualismo uomo e maschera, che da Pirandello in avanti indaghiamo, vive abbastanza bene in queste pagine.
Graficamente, ci troviamo davanti ad una prova estremamente interessante di Bevilacqua. Il mix di stili e registri fornisce un background accattivante, e con una colorazione deliziosa, allo sviluppo del racconto.
Queste pagine sono un perfetto esempio di biografismo fatto graphic novel. Elementi narrativi e metanarrativi si fondono in questa analisi sulla mezza età che porta tutti a ragionare su due elementi, burning-out e downshifting, su cui forse tutti dovremmo focalizzarci. Bevilacqua non affonda fino in fondo nelle viscere della questione. Ma è un chiaro segno che, anche solo anagraficamente, il medium si sta evolvendo
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