E’ una storia particolare, questa del numero 448. L’anima di cui si fa l’anatomia è quella dello stesso Dylan Dog. Alla ricerca dei suoi elementi più solidi. E di una narrazione calda e pulsante.
Questo nuovo episodio dell’investigatore di Craven Road preme sull’acceleratore dello splatter, riportandoci a tematiche prossime al mood degli esordi. L’anatomia dell’anima passa attraverso l’eviscerazione della stessa, ma, bisogna fare attenzione. Perché fino alla fine, nulla sembra essere come sembra.
Prima di cominciare qualsiasi discorso, una piccola dichiarazione di intenti. Sapete come io ami i disegni di Sergio Gerasi, che tanto sta producendo per Dylan negli ultimi tempi. La sua capacità di rendere le espressioni dei personaggi brillanti di identità è pressoché unica. E più che necessaria in un episodio che si occupa appunto dell’anatomia dell’anima.
Il tratto di questo episodio, a dirla tutta, sembra leggermente più ruvido rispetto al passato. A voler pensare male si potrebbe dire frettoloso, ma non credo sia il caso. Perché questa necessità di linee più violente e decise ben si accorda alle variazioni più splatter di questo episodio. La sua capacità di far emanare dai volti dei personaggi (femminili soprattutto) una brillantezza inaspettata rende le sue matite le più eclettiche del panorama italiano. E come mi è capitato di scrivere in altri casi, potrei paragonare il suo lavoro a quello di un John Romita Jr anni ’90.
Dopo l’avventura su Xenon (ve ne parlo qui), il mondo di Dylan si sta affacciando ad una nuova era. La storia, soggetto e sceneggiatura di Alessandro Russo, spinge molto sul versante gore. Dylan viene contattato da una ragazza che asserisce che una sua amica, di ritorno da una vacanza di una settimana, non è più la stessa. Sullo sfondo un maniaco in impermeabile. Quasi da operetta, per non dire Profondo Rosso. Ma c’è dell’altro che deve essere esaminato.
Il titolo, almeno secondo le mie aspettative, è lievemente ingannatorio. Nell’intera premessa della faccenda, avrei infatti ipotizzato un certo tipo di sviluppo verticale della trama. Un killer che decapita le proprie vittime per capire se, effettivamente un’anima c’è.
Invece no. L’anima non conta, direbbe Appino. Ed in questo caso lo sviluppo della trama è squisitamente orizzontale, riconnettendosi ad un episodio che ci riporta non ai magnifici 100, ma addirittura ai magnifici primi 50. Quello che succede si incastra bene nel filone degli ultimi albi, dove la gestione di Barbara Baraldi sta spingendo verso una curiosa analisi del virtuale e del reale.
L’intelligenza artificiale è un elemento concreto che sta davvero attanagliando il mondo dei creativi. Presto sarà lotta senza quartiere. Ed è sensato che il Dylan Dog che è sempre stato legate alle tematiche dell’attualità indaghi.
L’analisi che ne viene fornita è legata a doppio filo a quell’horror hack & slash che tanto riporta il personaggio alle origini. Un Dylan con la testa tra le nuvole, innamorato perdutamente dell’amore, destinato a rimanere solo proprio per quella sua maledetta vena romantica.
È ancora troppo presto per trarre un bilancio, ma è innegabile che la direzione di rotta si sia avvertita e sia tangibile.
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