Con questa nuova miniserie degli X-Men, la Marvel torna sul luogo del delitto. E lo fa con nuovi dettagli su una delle trame più famose : Days of Future Past.
Che sia la mia storia preferita degli X-Men, non credo sia un segreto. Conservo gelosamente l’albo originale, e la copertina con il vecchio Logan e la Kate Pryde credo sia tra le più iconiche della storia dei mutanti X. ma senza indugio, anche di tutta la storia del fumetto statunitense.
Da qualche tempo, la Marvel ha deciso di far contenti i vecchi fans tornando con miniserie in retcon ai momenti storici dei vari personaggi. Spesso recuperando perfino i team creativi dell’epoca. E così, Ron Lim, Peter David, Marc Bagley, sono ritornati a raccontare storie mai narrate di Silver Surfer, Hulk, l’uomo Ragno. Non fatevi ingannare, in fondo succedeva già negli anni ’80 con esperimenti come Classic X-Men. Solo che per i mutanti X non credo sia possibile recuperare il team originale. Se Chris Claremont probabilmente non avrebbe alcun problema a ritornare sui suoi figli più amati, probabilmente John Byrne non sarebbe della stessa opinione.
Così l’incarico di raccontare una nuova storia di Days of future past passa a Marc Guggenheim e Manuel Garcia. Di quello che accade dopo i due storici numeri di Uncanny X-Men si sa già tutto (già ai tempi ci fu un Days of future present). Tutta la storia è arcinota : in un futuro distopico dove macchine giganti ed intelligenti chiamate Sentinelle hanno preso il controllo, i mutanti sono rinchiusi in campi di concentramento, l’unica possibilità è che un manipolo di sopravvissuti riesca a proiettare la mente di Kate Pryde in quella della sua versione tredicenne, impedendo l’assassinio di un politico che scatenerà tutto.
Se la trama vi sembra pericolosamente simile a Terminator (che sarebbe uscito solo anni dopo), è perché è vero.
Dai fumetti originali sappiamo che l’omicidio del senatore Kelly fu sventato e che quel futuro sembrava scongiurato, anche se non proprio del tutto. Quello che non sappiamo, al culmine del paradosso, invece è cosa succede ai mutanti che hanno la missione di spedire Kate indietro nel tempo prima che la missione inizi. Tutta la storia viene costruita giocando sul filo sottilissimo del paradosso e, a dirvela tutta, il finale sarà sufficientemente esplicativo.
Ma intanto tutta la storia ci permette di tornare indietro ad un’epoca in cui le storie degli X-Men erano cariche di significato ed incredibilmente adulte. Ritrovare quei personaggi, scevri di molte evoluzioni non lineari (Morrison? Hickman?) , li riporta al punto in cui il tetro futuro era sempre sull’orlo di peggiorare.
Bastano in effetti le prime vignette, dove assistiamo ad una morte tragica per capire quale sarà il mood dell’intera serie. Malgrado ciò, il ritmo sostenuto è particolarmente adrenalinico. Anche se alcuni eventi sono già noti, vengono raccontati da un punto di vista più esteso e carico di particolari, ragione per cui, anche sapendo come la storia finisce, restiamo meravigliati fino all’ultimo.
I dialoghi di Guggenheim sono densi e precisi. Incredibilmente fedeli ai personaggi. Le matite di Garcia restituiscono un tratto classicheggiante che pure non ignora la lezione degli ultimi quaranta anni. La storia permette inoltre di riempire un piccolo buco narrativo che, giocando sulle linee temporali, avevamo sempre sottovalutato.
La speranza è quella di vedere, un po’ come era successo con le miniserie del Maestro, nuove storie dedicate a questa divergente linea temporale.
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