Il numero 450 di Dylan Dog presenta una torbida storia di violenza, definita da un interessante incastro narrativo di Barbara Baraldi e dalla linea chiara di Nicola Mari. E sì, è uno shock!
Tenendo fede alla sua idea di quello che dovrebbe essere Dylan, Barbara Baraldi scrive lo shock in uno stato di grazia. La costruzione della trama è basata sull’intreccio di due vite Dennis e Myriam. Sullo sfondo, la caccia ad un serial killer che sembra tanto letale quanto imprendibile.
Dei due, Dennis viene trovato confuso, smarrito. Vittima di un matrimonio irrisolto. Myriam somiglia molto più ad una predatrice. Nella sua prima apparizione commette un efferato omicidio. E la sua rabbia sembra non trovare pace. Ah già, anche lei ha alle spalle un matrimonio infelice.
I legami macilenti, tenuti nascosti in una stanza la cui porta nessuno vuole aprire più, sono alla base del tema. La stessa Baraldi inserisce all’interno dell’introduzione un riferimento a Barbablù, che non deve essere preso sottogamba.
La sua capacità è quella di condurre il lettore in un gioco di specchi, la cui superficie non è perfettamente riflettente e, qualche volta, un’aringa rossa può portare da una parte mentre il finale sta da tutt’altra parte.
Un secondo tema inserito, in un contesto magari un po’ deviato, ma che emerge quasi primigenio, è la capacità dell’essere umano di affrontare i mostri, nell’accezione più sclaviana possibile, e sviluppare difese efficaci. Perché se c’è una cosa che questa storia punta a sottolineare, è che i mostri non finiscono mai.
Da contraltare bisogna sottolineare la bravura grafica di Nicola Mari che, con il suo solito tratto pulito, traccia la linea sdoppiata delle due vite di Myriam e Dennis.
L’aspetto che maggiormente risalta nelle sue tavole è il character design netto, capace di delineare con pochi tratti l’essenza psicologica del personaggio. Il suo capolavoro risulta Bloch, da cui traspare l’esasperazione con cui sopporta tutto il dolore e la violenza del suo mestiere. Negli anni è invece cambiato maggiormente il volto di Dylan. Sempre pervaso da una nota inquieta, i suoi zigomi sembrano meno affilati, quasi come se avesse voluto regalare al personaggio un innaturale invecchiamento (ai protagonisti delle storie a fumetti non capita molto spesso, in fondo).
Interessante il livello di tratteggio utilizzato in una scena più dinamica, raccontata peraltro da più angolazioni, e che è funzionale all’interno della sceneggiatura : quella di una berlina che si schianta contro un albero.
In tutto ciò, Dylan si districa tra le difficoltà dell’indagine, quasi per caso, eppure lentamente il suo ruolo diventa importante, soprattutto nell’analizzare la faccenda e trovarne la spiazzante soluzione.
In tutto questo, va sottolineato il modo insinuante in cui il sovrannaturale si fa strada. Nel leggere la storia ieri notte, ho pensato immediatamente a due altre narrazioni che ho amato negli anni. Un film di vent’anni fa, le Verità Nascoste, dove gli incidenti in auto sono un elemento chiave. E la più recente incarnazione di True Detective (ve ne parlo qui), dove tutto quello che sembra goticheggiante ed irrazionale, trova una sistemazione logica e meccanica che però, non prescinde dalla presenza dell’Altro, invisibile ai nostri occhi terreni.
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