Uscito appena pochi giorni fa, Un segno di vita è il nuovo album di Vasco Brondi, già Luci della Centrale Elettrica. La sua miscela di sonorità elettroacustiche si fonde con liriche intense ed intimiste.
Da un po’ di tempo provo a raccontarvi quali sono le mie esperienze soniche (ve ne parlo qui)
Siamo seri. Ci sarebbe poco da appuntare a Vasco Brondi. In genere è dotato della capacità di trasformare in poesia anche la lista della spesa. Rendendola mistica. Anche al suo peggio riesce a sfiorare certe corde emotive che poi ti restano in testa e ci lavorano dentro col solo ed unico scopo di farti riflette emozionandoti.
Fatta questa doverosa premessa, esistono vette inavvicinabili, come nel caso di Terra, l’ultimo album delle Luci, dove tutto, sostanzialmente ed essenzialmente tutto, era incasellato in una armonia perfetta e duratura. Illumina Tutto, secondo album dopo Terra, deve per forza farci i conti.
E se Terra aveva la capacità di essere un compendio emozionale in sociologia, Un segno di vita, proprio per la sua natura introspettiva, è un piccolo saggio di psicologia sull’età della transizione. Vasco non è più un ragazzino, e la tematica del sopravvivere, dell’andare avanti anche perdendo pezzi, magari crescendo, comincia ad essere un argomento interessante.
Basta prendere la nostalgia di va dove ti esplode il cuore. Vasco chiosa un intensissimo ‘un giorno ci toccherà morire, ma tutti gli altri no’. L’ansia esistenzialista del vivere diventa primigenia. In più punti la metafora del fuoco che brucia ma illumina torna presente.
Quasi come a significare che per andare avanti si deve sacrificare necessariamente qualcosa. Più avanti sussurra quanto siano belle le cose che stanno per finire e che lui ha ancora molti errori da fare, e vorrebbe appunto farli.
La tematica del fuoco purificante e foriero di vita è ben presente all’interno dell’album facendogli assumere quasi la consistenza di un concept album. La capacità di Vasco Brondi è quella di rimanere credibile e coerente all’infinito.
Tra l’altro, malgrado lui più cantare si limiti a declamare a tempo, la sua voce è dotata di un colore straordinario che ne rende la musicalità in modo insolito e accattivante.
Il suono d’ensemble permette una orchestrazione d’accompagno. Le composizioni di Vasco sono dei momenti catartici che necessitano di limitati ritornelli e di sicuro non lasciano spazio ad assoli. Rispetto all’album precedente (paesaggio dopo la tempesta) le timbriche sono meno oscure ed in tonalità maggiori. Le percussioni di matrice più elettronica cedono il passo ad un tappeto di chitarre acustiche e sottili fraseggi di pianoforte.
Da sottolineare la partecipazione di Nada che, non c’è verso, continua a tener fede al suo cognome, producendosi in suoni duri e disincantati. Che so di dire un’aberrazione per molti, ma a me ricordano Patty Smith, e al diavolo.
Un Segno di vita è uno degli album che più attendevo da questo 2024 e per ora non ha deluso. Forse meno immediato e cerebrale rispetto al sopraccitato Terra, ma fa parte delle regole del gioco. Quello che emerge è un uomo che cresce, smette di espandersi e lotta indomito per sopravvivere.
Ché è il percorso che conta più che la destinazione finale.
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