Questo nuovo volume scritto da Luigi Formola riesce a far vibrare le corde dell’anima, e lo fa affrontando tematiche dure e mai banali. Il mondo in un punto fisso è tutto questo. E anche di più.
Avevo apprezzato il talento di Luigi Formola già nei suoi lavori precedenti (ve ne parlo qui). Già da quelle pagine emergeva una sensibilità fuori dal comune e la capacità di affrontare la vita di tutti i giorni con un minimalismo essenziale.
Ne Il mondo in un punto fisso, questa capacità è essenzialmente amplificata. Luigi racconta la storia di Arturo, un ragazzo di quindici anni, in una realtà come quella di una città medio grande. Racconta la sua storia, ma non solo quella. Perché prima di potersene rendere conto, la storia di Arturo, smette di essere soltanto la sua ed abbraccia tante piccole micro realtà che, però, assieme, formano un cosmo intero.
Di sicuro l’esperienza del Formola professore è stata utile nel raccontare i disagi e le difficoltà dell’essere un millenial adolescente. I bulli cyber e non tanto cyber. Il dover accettare un corpo che non è quello che si vorrebbe, superare le proprie delusioni d’amore e trovare le proprie passioni.
Ogni elemento completa uno spettro emotivo ben complesso e cesellato. Ma tutto parte da Arturo. Da questo ragazzo che con tanta fatica convive con la sua situazione cercando di imparare a comunicare col mondo esterno.
La bellezza di questo libro è che supera i falsi buonismi. Arturo migliora, ma lentamente. E questo deve fare i conti con l’affetto, ma anche con la frustrazione dei genitori che pur amandolo, a volte faticano ad accettare l’incapacità di comunicare. Un altro elemento chiave è sicuramente la figura del professor Tommaso. Un professore che forse avremmo voluto tutti avere ad un certo punto. grande ascoltatore, autorevole senza essere autoritario, un punto di riferimento.
Inavvertitamente, ma solo fino ad un certo punto, Luigi Formola muove una sensata critica ad un sistema che investe poco in questo tipo di risorse, per cui anche quelle presenti e motivate devono sbattere il muso tutti i giorni contro un sistema a brandelli che funziona solo con la volontà di tutti di fare il proprio e qualcosa di più.
In tutto questo c’è Arturo, e la sua capacità di fissarsi su un punto fisso. Ed è qui che la cronaca diventa poetica, quasi come in un film del Benigni che fu. Al bianco e nero delle tavole ‘reali’ si sostituisce un caleidoscopio di energia e vibrazioni positive, non appena Arturo vede se stesso come l’imbonitore di un circo, dedito a numeri spettacolari. Ogni azione nella realtà, corrisponde ad un diverso grado di acrobazia nel mondo che è solo suo. E noi lo vediamo perché possiamo, ma in realtà il professore, gli amici ed i genitori no. E questa forse è la concezione più dolorosa di tutto il volume.
C’è una sottile e fragile poesia che attraversa le pagine del libro facendoti sperare in una risoluzione che non può proprio arrivare.
Per raccontare Il mondo in un punto fisso, Valerio Forconi adotta uno stile realistico, ma lievemente caricaturale. anche il suo è un sottile equilibrio. Aver utilizzato uno stile più realistico, avrebbe rotto il ritmo portando ad una immedesimazione più solida ma che avrebbe lasciato indietro la magia. Spingere troppo sul caricaturale, avrebbe ottenuto l’effetto inverso, portando il lettore troppo lontano dalla realtà in cui vive.
La scelta cromatica della doppia narrazione è particolarmente azzeccata. Un po’ come Dorothy nel mago di Oz, solamente un elemento rimane al centro di connessione tra i due mondi, quel punto fisso che per metà è grigio e per l’altra metà è coloratissimo sublima tutto il sentimento, facendoci dimenticare il dolore e la frustrazione di non riuscire a comunicare correttamente lungo tutta la sfera emozionale.
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