La nuova storia di Michele Rech, al secolo Zerocalcare, inizia rompendo ferocemente gli indugi. Sarà una storia che parlerà del suo rapporto col padre, e già il titolo, Quando muori resta a me, la dice lunga.
Iniziare questa storia, mi rendeva vagamente nervoso. Per due ragioni, una più professionale, l’altra molto più personale.
Professionalmente perché, mente ho visto la carriera di Zerocalcare decollare con le serie TV, gli ultimi libri mi sono sembrati impoveriti, quasi in una fase di stallo creativo (ve ne parlo qui). Anche no sleep till Shengal che, sulla carte doveva richiamare il precedente di Kobane calling mi era sembrato quasi forzato e un po’ manieristico.
La ragione personale è più arroventata. Sapevo che questo libro parlava del divorzio dei suoi genitori, ed in genere, si sa cosa succede ai padri delle famiglie divorziate. I figli diventano un’opzione del weekend e tanto basta. e su questo, Zero non delude e colpisce senza pietà. Quando muori resta a me racconta della trasformazione della sua famiglia attraverso quella forca caudina. Senza troppi giri di parole, racconta di come da adolescente non trovava il tempo per passare da una casa all’altra. Mentre irrimediabilmente i sentimenti del padre venivano feriti e crescendo, i due si perdevano di vista congelando i sentimenti.
L’analisi di questa situazione è estremamente profonda e Zerocalcalre ci racconta molto di più di quanto crede. Vi faccio un breve spoiler : all’inizio della storia racconta di come i genitori gli abbiano spiegato del divorzio. Lui spiega che in principio accettò tutto, ma che poi il senso di colpa lo colpì.
Io credo invece che molte delle paranoie, e dei limiti autoimposti con cui vive, rappresentino proprio una conseguenza di quel momento in particolare.
È per questo che quando muori resta a me è una profonda analisi delle relazioni genitoriali e di come il rapporto tra padre e figlio possa complicarsi ed ingarbugliarsi senza che ci sia malizia da nessuna delle due parti.
La tematica del rapporto padre e figlio è solo uno degli aspetti portanti di questa storia. Un po’ come in dimentica il mio nome, Zero tende a raccontare un aspetto della vita dei suoi avi, in questo caso la famiglia paterna. Parte del racconto è totalmente in veneto e intessuto con uno stile grafico che strizza l’occhio in una maniera molto intensa sia a Gipi che a Pazienza.
Graficamente è un punto importante perché dimostra la sua voglia di disfrancarsi dal suo solito stile e provare cose nuove. Narrativamente accade la stessa cosa. Siamo fuori dai soliti stereotipi che accompagnano le tipiche uscite di Michele e questa non è affatto una cosa brutta.
Al contrario, quando muori resta a me (incluso il ribaltamento di questa frase che riassume in maniera, geniale, tutto quello che il libro tratta) rappresenta uno dei tentativi più riusciti e toccanti della poetica di Zerocalcare.
L’aspetto finale, dove il tema principale evolve e smette di essere un racconto sul rapporto padre figlio per trasformarsi in una narrativa sulla paternità, contribuisce a rendere universale un elemento che forse Michele, ormai quarantenne, sente il bisogno di toccar ed affrontare con tutta la profondità del caso.
È un libro toccante, a volta da far male il cuore. Ma a volte è proprio quel tipo di male, che serve di più.
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