Il volume dedicato da Tunuè agli autori portoghesi Melo e Cavia è un piccolo miracolo. Al di là dell’edizione strepitosa, Ballata per Sophie racconta una storia che buca il cuore. Quello che accade dopo, è pura magia.
Vi parlo spesso di Tunué (ad esempio qui). Con gli anni è una casa editrice che ha saputo crescere, prendendosi dei rischi e scommettendo su una linea editoriale precisa ed emozionale.
Ballata per Sophie è solo l’ennesima conferma che, purtroppo, leggo con imperdonabile ritardo. In questi mesi però ho avuto modo di studiare le bellissime tavole di questa lunga storia. Juan Cavia ha un tratto squisitamente europeo, appena tendente al caricaturale.
Alcune sue intuizioni sono praticamente geniali e ci sono due doppie tavole, quelle che raccontano la vita sessuale di Dubois, che esprimono perfettamente il ritmo del racconto, con una spinta verso il colore rosso, che racconta due differenti tipi di passione.
Le sue figure, in genere, sono ben equilibrate e capaci di trasmettere emozioni primarie. Basta prendere la figura di Julian Dubois, il protagonista della storia. Lo conosciamo praticamente alla fine dei suoi giorni. Il suo corpo sa di malato, il suo modo di rendere barba e capelli incolti ben si adatta alla sua tragica figura. Gli impazienti scopriranno tutto uno studio fatto sul personaggio di Julian, sia dalla sua giovane età fino al compimento dell’età adulta. Attraverso i suoi amori dissoluti e la sua costante insoddisfazione.
Colori e regia si fondono alla perfezione regalando delle tavole complesse e nostalgiche con un color script che si adatta con perfezione alle vicende del pianista.
Filipe Melo ce ne racconta le vicende attraverso un archetipo abbastanza funzionale. Sophie, una giovane ragazza si presenta alla casa di famiglia di Julian con l’intento di intervistarlo. Da giovane è stato un pianista pop rinomato, autore di quel tipo di musica che solo un certo pubblico francese saprebbe amare.
Sophie non è ben accolta, almeno inizialmente. Rimane nella casa del vecchio musicista ed ogni racconto è un pugno sulle ossa. Julian subisce infatti la sindrome dell’impostore. Spinto dalla madre a suonare, vince un concorso solo perché raccomandato. Il vero vincitore, Francois Samson, lo ossessionerà per tutta la vita. Ed in un modo o nell’altro, le vite dei due uomini finiranno per intercettarsi quasi sempre, in una spirale avvolgente di dolore e frustrazione.
Quando la storia si intreccia con la Storia, Samson viene deportato in un campo di concentramento e si salva solo grazie ad uno spietatissimo patto col diavolo di Dubois.
Dubois non riuscirà mai ad essere felice, convinto come è di non essere all’altezza del suo ruolo. Il rapporto con sua madre, quello col suo produttore, un allegorico quanto mefistofelico caprone, comprometteranno il resto.
E la sua psiche tormentata lo spingerà più volte oltre la soglia del suicida. Solo una scampolo di buon cuore gli garantirà la salvezza. Quello e, la stranissima sensazione, che c’è sempre una ragion per andare avanti via sempre.
Sophie d’altra parte è il personaggio che raccoglie tutte le testimonianze del burbero musicista. Il suo ruolo è quasi sottotono, parzialmente invisibile, ma cresce fino a guadagnare non solo il titolo, ma anche il palcoscenico. Le sue domande curiose, le sue richieste precise, danno uno spunto diretto alla conversazione. Al punto che alla fine il legame tra i due diventerà saldo e trascendente.
La tragica vita di Eric Dubois, sopravvissuto a se stesso ed alla sue ossessioni, ritroverà se stesso solo nelle ultime taglienti pagine. Custodi di un colpo di scena che forse potrebbe essere inaspettato, ma che, incasellato come è nella storia, genera un vero e proprio gap emozionale.
E quando Sophie rivelerà se stessa, non potrete non sentire le lacrime scendere.
Il volume è una sorpresa continua (meravigliosa l’idea di inserire la partitura della ballata all’interno del volume). Sono storie di questo spessore che bucano il cuore, come vi dicevo, ma di cui se ne sente maggiormente bisogno.
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