Il numero di Dylan Dog di questo mese ci mette a confronto con due tematiche particolarmente inquietanti, la guerra e le ghost storie tradizionali, e su la sottile linea nera che funge da confine tra le due.
La guerra, si sa, è uno di quei mostri da cui non ci si riesce a liberare davvero mai. Lo stesso Dylan si è confrontato più volte col tema (e ve ne parlo qui) a in questo caso ci si inserisce in una maniera davvero viscerale. Gianmaria Contro recupera un episodio che, per chi non ha vissuto il tatcherismo in diretta potrebbe risultare marginale. Solo che in realtà, negli anni ’80, la brevissima guerra di confine gestita nelle Malvinas/Falklands ga rappresentato una ferita aperta ed infetta.
Andatevi a guardare il film (e le successive miniserie TV) di This is England, se non mi credete.
Dylan, che è sempre stato dalla parte dei mostri, anche in questo caso non può fare differentemente e, anche se a chi si debba attribuire questo ruolo non è immediatamente chiaro, alla fine colpisce anche con un certo effetto.
La malinconia che pervade Dylan nelle prime tavole è abbastanza un unicum. Cammina sotto la pioggia, con didascalie che narrano il suo pensiero. Di per sè è un meccanismo abbastanza atipico per Dylan.
Luigi Siniscalchi illustra tutto con magistrale naturalezza arricchita un po’ di quel senso di quieta disperazione che solo gli inglesi sanno gestire. Dylan incontra una donna, Irene, e la segue, mentre l’intera Londra sembra essere posseduta dal fantasma delle sue guerre.
Attraverso una serie di visioni di quattro soldati vicino ad un casolare, Dylan incontra Milton. E La storia si complica. Visioni di uomini che scompaiono, le strade di Londra ridotte a trincea, uomini che dovrebbero essere morti e le loro medaglie.
È il fantasma della guerra a rendere tutto più lontano e Dylan un semplice testimone.
La seconda tematica entra prepotentemente in scena proprio quando tutto sembra vacillare e la mente di Dylan non riesce a mettere assieme i pezzi. La linea narrativa che può riassumersi in quella di una ghost story presenta un taglio classico ma anche terribilmente moderno.
Di fantasmi che ritornano perché hanno lasciato qualcosa di irrisolto, abbiamo librerie intere pregne di romanzi gotici. Ma qui c’è un sottile elemento in più, quel piccolo riferimento alla modernità che fa venire subito in mente quel film capolavoro che è the Others.
L’orrore della guerra colpiva senza pietà anche in quel film, e qui non è da meno.
Le pagine che vi terranno compagnia, meglio se in una tiepida notte d’autunno, portano lentamente ad una risoluzione pacificatoria anche se non troppo rasserenante. Come in tutte le ghost stories, viene sempre il dubbio che tutto potrebbe essere stato un sogno ad occhi aperti.
Eppure quel colpo di scena quasi sulla dirittura di arrivo, rende la sottile linea nera un albo da pugno allo stomaco, dove sì, Dylan si schiera con i mostri.
Ma i mostri umani, al solito, sono i più terribili ed anestetizzanti.
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