Il secondo Dylan Dog bis dell’anno arriva con una storia che è un piccolo gioiello. L’oscuro messaggero gioca con i sensi di colpa trasformandoli in una ghost story che fa venire qualche brividino lungo la schiena.
Gli ultimi episodio di Dylan (ve ne parlo qui) lo hanno visto coinvolto in fughe dall’inferno, mostri sotto il letto e fantasmi di tutte le guerre. Ma è con questo episodio, scritto in maniera magistrale da Mauro Aragoni (che co-sceneggia assieme a Pasquale Ruju) che si respira forse l’aria più esistenzialista del personaggio.
In questa storia non manca nulla, da una calibratissima analisi psicanalitica dei comprimari alle citazioni da saghe memorabili (una per tutte, IT). Ma è proprio quell’esistenzialismo urbano che va a confluire nello splatter e nel gore che forse troviamo la natura più profonda e primaria di Dylan.
Come una sorta di crudele contrappasso dantesco, nell’ambito di una nerissima settimana, persone estremamente tranquille, ricevono una scatola e si uccidono in un modo che sviscera (bè, letteralmente) un loro senso di colpa per la morte di un caro estinto.
Tutto regolare, direte voi, fino a quando Dylan non riceve la visita di Jessica Gleeson, che le racconta di come la sua defunta sorella la stia istigando al suicidio. Lo sviluppo della storia segue l’iter del procedurale sovrannaturale. Dylan scopre che questa serie di suicidi si ripetono con ritmo preoccupante quanto regolare.
E da quel momento il suo mantra diventa salvare Jessica dal suo bruciante senso di colpa.
Ecco, sebbene il senso di colpa sia fortemente esteriorizzato e Antonio Marinetti compia un miracolo vero nel rendere le tavole realistiche fino al ribrezzo (sto parlando delle mutilazioni che definisce con ottica naturalista), l’oscuro messaggero tocca un tasto tanto forte quanto dissonante.
In questa nostra epoca del tutto e subito, ci troviamo ad affrontare una delle bestie nere della nostra esistenza. Il rimorso, ed il senso di colpa. Una di quelle cose che ti prende a morsi di notte, facendoti dimenticare la bellezza della tua vita instagrammabile.
La componente più feroce del senso di colpa, è che spesso è un mostro cui ci autocondanniamo. Così come succede (senza spoiler eccessivi, credetemi) proprio alla co protagonista di questa splendida avventura.
Dotata peraltro di un finale che ti toglie il fiato, facendoti gridare all’ingiustizia.
Prima di chiuderla con l’oscuro messaggero vorrei tornare sulle tavole di Marinetti. Si tratta di un lavoro dalla complessità sopraffina, cesellato, dettagliato. La sua regia è impeccabile tanto quanto lo sono i dettagli con cui cesella le pagine. Per non parlare del design dei personaggi, ossuto, dinoccolato, sensuale.
L’oscuro messaggero è una moderna fiaba morbosa. Dove il mostro non si nasconde sotto il letto per una volta, ma direttamente dentro la nostra anima, lasciandoci ben poco spazio per fuggire, prima che possa inseguirci raggiungendoci.
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