L’ultimo numero dell’anno del nostro indagatore dell’incubo preferito si porta dietro una piccola, romantica sorpresa. 32 dicembre è la storia di Dylan Dog scritta da Gianmarco Fumasoli. E tanto basta per donarle un insolito afflato.
Avete presente quella sensazione di grazia che si avverte quando un musicista indie si esibisce con l’orchestra a Sanremo e, magicamente, tutto va a posto?
Ecco, la sensazione che questo 32 dicembre riesce a regalare è esattamente lo stesso. Partendo da un soggetto condiviso con Lanzoni, Gianmarco, che normalmente ci diletta con le avventure dell’edimburghese Samuel Stern (ve ne parlo qui), sceneggia una storia di Dylan che, pur seguendo comunque le regole di ingaggio abituali dell’inquilino di Craven Road, aggiunge un tocco etereo, romantico.
Lasciandoci, come è giusto che sia, con un finale amaro, delicato come un pugno allo stomaco mentre si cerca di prendere fiato.
Dylan, riceve un messaggio nella bottiglia, praticamente come la canzone di Sting, con gli scritti di una ragazza che lo ammaliano subito. Quindi Dylan cherchez le femme . Non una novità, direte voi, ma che la tariffa non sia le solite 50 sterline si. Gli scritti di Bianca, ammaliano il nostro al punto che si decide a partire e cercare Bianca senza chiedersi se sia ancora o no.
La nota canonica è che ci sono i morti viventi, presenza su Dylan abbastanza fissa, sin dal primo numero, per dire. Ma il tocco etereo del nostro Gianmarco smussa alcuni angoli, addolcendo aspramente la situazione. Il riferimento è a quelle culture un po’ remote dell’estremo oriente dove, annualmente, i morti vengono dissepolti per tornare a partecipare alle attività delle famiglie di origine.
Non voglio darvi nessun particolare aggiuntivo, ma, credetemi, tutto fa ad incastrarsi in una delicatissima quanto decadente storia di effimero amore.
Il Dylan che ne traspare è forse appena meno narcisista del solito, e, sebbene perennemente innamorato dell’amore come ogni altra volta, a questo giro sembra coinvolto da una presenza nuova, ma dai riflessi antichi.
Un applauso a scena aperta va alle matite di Francesco Dossena che si diletta con un tratto rarefatto, solcato da ombre tenui e linee morbide.
La sua Bianca è una attrazione morbosa. Splendida nella sua precarietà. Il Dylan che ne emerge, ha tratti somatici forse appena più giovanili ed irrisolti (anche sul piano psicologico) del solito, ma ne emerge come un tragicomico Pierrot incapace di resistere ai suoi stessi impulsi.
La cosa che meraviglia è la leggerezza delle composizioni, che si susseguono come in una storia fuori dal tempo, lasciandoci preda di una storia atipica che non può che conquistare.
Non che fosse necessario, ma è l’ennesima dimostrazione che il lavoro di Barbara Baraldi come nuova curatrice, sta solo portando nuova linfa al nostro beneamato investigatore.
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