La narrativa visuale, per immagini, si avvale di diversi livelli di complessità. Può essere un racconto visivo, privo di suoni e onomatopee. Può essere una storia, come Ultimo Respiro, nutrita da Thierry Martin, della semplice essenzialità.
Le poco più che duecento tavole che compongono questo racconto, sono assemblate con una tecnica che ricorda da vicino più un trattamento cinematografico che una vera e propria storia a fumetti. Forse, nel giro di questi ultimi mesi, sono le tavole che meglio raccolgono e sintetizzano il concetto di graphic novel.
Nessun dialogo, nessuna onomatopea, nessun fronzolo che serva a dare alcun tipo di sovrastruttura. Thierry Martin racconta una storia in tempo reale, con un breve spazio dedicato a dei flashback, dove la sola componente essenziale è la violenza grafica e la sete di vendetta.
Il protagonista di questo racconto di frontiera, tornando nella sua capanna trova il vecchio patrigno indiano massacrato da banditi che quasi cercano di fargli la pelle. Ma come un revenant, anche lui è animato da una forte necessità di chiudere le questioni terrene prima di passare oltre.
Lo storytelling in questo è assolutamente moderno, le immagini che si susseguono sono la scelta perfetta tra quelle aleggianti nello Spazio Bianco. poco più di duecento splash pages dove non viene concesso troppo alla regia.
Con una attitudine da film muto in fatti le tavole si susseguono, una slash pages dopo l’altra, costringendo il lettore a mantenere una attenzione continua sulla storia.
Del resto se così non si facesse, se non ci fosse un atto di volontà vero e proprio di chi legge, sarebbe facilissimo disperdersi, senza un dialogo, un nome da ricordare. Lasciando noi ad immaginarci tutto, dal suono del vento al fastidio del freddo pungente.
Va sottolineata l’interessante alternanza tra le tavole in tempo reale, ambientate nella fredda notte dell’ultimo respiro, tinteggiate di nero e grigi che sembrano di un blu pungente come il freddo che affastella la neve, ed i tenui ricordi virati in seppia.
Il resto è tutto mimica facciale. Martin si concede ad un design rabbioso e urgente che fa pochissimi sconti alla fantasia. Una delle poche licenze poetiche è il naso del protagonista, pronunciato, irrealistico, come quello che potrebbe appartenere al personaggio di un manga.
La vendetta del protagonista è primigenia, quasi biblica nella sua rudezza. Quello che appare come violenza immotivata è proprio l’ultimo atto di una storia, come tante di quelle di frontiera, che poco spazio lascia a pietà e redenzione.
Un bel volume quello prodotto da ReNoir, di quelli che lasciano sorpresi. Una lettura invernale, ruvida, con pochi margini di speranza. Ma con un ritmo indiavolato ed adrenalinico che non lascia spazio all’immaginazione, rappresentando tutto con una regia naturalista ed impietosa. Sin troppo crepuscolare.
Se amate il western moderno, e le storie viscerali, non potete proprio lasciarvelo scappare.
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