È il 21 marzo 1998. Sono al quartiere EUR, al Romics. Passo allo stand Play Press e scopro che hanno appena pubblicato la prima edizione in volume di Watchmen. Costa trentacinquemila lire. Una mia compagna di università mi guarda male vedendo quanto spendo in fumetti.
È il 6 ottobre 1989. Sono all’aeroporto di Fiumicino. C’è un’edicola con un espositore dedicato ai fumetti. Mia madre aspetta fuori parlando con qualcuno. Ho cinquemila lire e una copia di corto Maltese in mano. So che non leggerò ancora per molti anni i fumetti adulti che vi sono stampati. Ma dentro c’è un piccolo inserto dedicato ai supereroi, piccolo removibile. È una storia dedicata a dei personaggi DC comics di cui non ho mai sentito parlare. Ma del resto senza internet disponibile, in quel momento non posso scoprire molto altro dei personaggi DC.
È il 5 dicembre 2020. Sono seduto alla mia scrivania. Ieri notte ho appena terminato la lettura del volume italiano di Doomsday Clock.
Può sembrare altro. Potrebbe passare per solo un’altra semplice Crisi di quelle sistematicamente periodiche che vengono pubblicate per svecchiare storie e parco lettori. Ma non fate questo errore. Certo, c’è un particolare della S di Superman (che non scordiamoci significa Speranza), bello visibile in copertina. Se aguzzate la vista potrete notare persino una certa rassomiglianza con l’iconografia di quella pietra angolare che è e resterà per sempre Watchmen, anche a dispetto del progressivo rintronarsi di Alan Moore.
Ma Doomsday Clock è più cose. E proprio su più livelli che ne va affrontata la lettura.
La parte più lineare e pragmatica è la necessità della DC Comics di mettere una pezza al pasticciaccio creato da Flashpoint. Il progressivo allontanamento da quella rivisitazione in chiave Image che fu il New 52 si conclude con la colossale restaurazione del passato e del futuro della cosmografia DC. Certo, data la proverbiale lentezza di quel genio delle matite che risponde al nome di Gary Frank, la sincronia progettata per questa storia e le storyline degli albi regolari si è persa un po’ per strada e la serialità originale venne allungata addirittura di quasi un anno. Ma questa è storia editoriale che interessa solo ai collezionisti delle Variant Edition. Quando la polvere del tempo si sarà depositata e ci ricorderemo di questa storia come di un evento chiave DC ne vedremo l’importanza funzionale e letteraria. Poco altro conterà.
Un secondo modo di vederla è comprendere quanto significhi per la premiata ditta Geoff Johns e Gary Frank. Sceneggiatore e disegnatore. Coppia d’oro dei fumetti DC degli anni ’10 col dono di trasformare in oro qualsiasi cosa toccavano. Johns scriverà Flashpoint, è vero, ma non sarà mai soddisfatto delle conseguenze. Andatevi a leggere il suo Green Lantern per esserne certi. Questo volume è la definitiva consacrazione. Certo essere messi d’ufficio allo stesso livello di Alan Moore e David Gibbons non è un’impresa da poco. Scrivere quello che potrebbe essere definito come il seguito di Watchmen mette una certa pressione addosso. Avrebbero potuto fare qualcosa di più semplice, tipo, che so, scrivere Bibbia 2 – la vendetta. Scherzo, gli anni ’90 sono finiti da un pezzo. Geoff ogni tanto cerca di sincronizzarsi troppo sullo stile di Moore e a volte anche le pose che disegna Gary sembrano appena più plastiche del necessario. Ma del resto la gabbia delle nove vignette costringe ad una struttura in loop sequenziale e concisa. Ma entrambi fanno un lavoro interessante, prendono due cose che non potrebbero stare assieme facilmente, storie classiche e revisionismo e creano un mondo coerente con lo scopo di sistemare molte, troppe questioni lasciate in sospeso. Non credo, avessero chiesto a Marv Wolfman di scrivere Watchmen, sarebbe stato uno sforzo differente.
E poi arriviamo all’atto d’amore. Per i personaggi, prima di tutto. Poi per le Storie e per i lettori che ci crescono assieme. E come ogni atto d’amore, si prevede la creazione. Ed il concetto stesso del Metaverso (per gli spoiler leggete la versione di terra S di questo articolo) imprime alla cosmogenia DC qualcosa che è sempre stato presente ma che nessuno è mai riuscito a definire e codificare. Quello che ne deriva è un racconto del mito ripetuto e rafforzato degno di figurare nell’Eroe dei Mille Mondi (Joseph Campbell, 1949).
Ah. Già che ci sono Jonhs e Frank (curioso che entrambi abbiano cognomi che possano essere letti come nomi) scrivono pure il seguito di Watchmen. E funziona bene.
È il 9 aprile 2042. Sono nella mia biblioteca con i miei nipoti. Trovano una versione ingiallita di un vecchio brossurato Play Press con uno smile insanguinato sul dorso.
Non possono fare a meno di prenderlo.