Gli americani sono fissati col mito dell’high school. Il varsity, qualsiasi cosa sia, il capitano della squadra di football, la cheerleader più bella. Se ci pensate, potremmo quasi circoscrivere il concetto stesso di american way of life, inclusa la torta di mele e la ragazza della porta accanto, in quegli anni che ci definiscono teen. Quasi come se tutto il resto fosse una pallida ombra di quei giorni di gloria. Chiedete pure al giovane Holden.
Ovvio che se si comincia a mitizzare un periodo di tempo così limitato poi emergono i lati oscuri. Ed i lati oscuri ci sono sempre stati, ma adesso che le nostre vite sono condizionatei dai social, tutto è sotto gli occhi di tutti.
Se sei un’anima danneggiata, se non riesci ad identificarti in nessun tipo di gruppo sei invisibile. E se rimani invisibile puoi fare quello che vuoi. Sui temi di libertà e invisibilità è incentrata tutta la prima stagione di the Wilds.
Non fatevi traviare dallo scenario stile temptation island, nove ragazze in costume da bagno su un’isola deserta non sono propriamente un paradiso. E se, ad una visione più attenta si attiva la connessione con il Signore di Mosche e L’isola di Lost (occhio che in ambito teen, manca solo la banlieu di Thoiry), siamo sulla strada giusta ma non ancora propriamente a fuoco.
Le ragazze credono di essere sopravvissute ad incidente aereo e di essere finite su un atollo sulla rotta per le Hawaii, ma non tutto è quello che sembra. E anzi, la realtà è pure peggio. La si intuisce, anche se a volte in modo un po’ troppo telefonato, spezzone dopo spezzone. Ormai il tecnicismo della narrazione su tre linee temporali differenti è abusato, ma in questo caso è funzionale alla storia. Ogni episodio ci viene introdotto da una ragazza, dalle sue disfunzioni, dalle sue psicosi. La ragazza racconta in una intervista in un bunker quello che è successo sull’isola, e, nel frattempo ci racconta la sua vita, quello che sull’isola ce l’ha portata.
Perché nessuna di loro ci è finita per caso. Non si tratta di spoiler, è qualcosa che viene rivelato nei primi venti minuti. Le ragazze sono su un jet per andare a seguire un corso motivazionale alle Hawaii. Solo che l’incidente, e l’approdo sull’isola fanno parte dell’organizzazione. Un esperimento sociale Orwelliano messo in atto per studiarle, portarle ad affrontare i propri traumi e farle conquistare un posto in una società che fino a quel momento è stato usurpato dal patriarcato.
E qui la narrazione si fa più profonda. Ripeto, non lasciatevi ingannare dall’intonacatura teen. La storia è un’attenta riflessione su come un essere umano, incapace di seguire le dinamiche del conformismo, rischia di finire escluso in un darwinismo spietato e asociale.
A capo del mostruoso progetto di autoanalisi c’è una psichiatra, Gretchen Klein (la brava Rachel Griffits che probabilmente vi ricorderete da quel bizzarro e psicotico serial che fu Six Feet Under), temprata per prima da quello che sta lottando per modificare.
I resoconti delle ragazze sembrano sul tono di the Hole, ma nelle loro diversificazione, nell’essere ognuna caratterizzata fuori dagli stereotipi che dovrebbero invece rappresentare, attiva un cortocircuito che spinge a seguire la serie episodio dopo episodio.
Quando Rachel tira fuori il patriarcato, forse vuole cavalcare troppo lo zeitgeist, ma credetemi, la filosofia su cui poggia la sua teoria non è poi così sbagliata. Donne oggetto, donne che per rivaleggiare con gli uomini devono essere peggio di loro, donne che anche quando eccellono lo fanno per rispettare un modello che non prevede possano decidere. Il problema è che in questo caso, la cura è peggiore del male e la permanenza sull’isola si trasforma abbastanza presto in un bagno di sangue.
Se devo essere onesto, di questi primi dieci episodi, solamente una scena ho trovato gratuita e riconducibile ad un ‘salto dello squalo’, per il resto, la sceneggiatura è buona e tiene un ritmo lineare con l’aggiunta di misteri sempre nuovi. Il crescendo degli ultimi tre episodi, porta ad una conclusione che è anche un giallo, perché anche all’interno del gruppo c’è un altro mistero da risolvere.
Ed il season finale apre ancora moltissimi altri spunti per la seconda stagione già in preparazione.
Certo, se facessimo come diceva Bruce Springsteen e la smettessimo di pensare solo ai Glory Days…