Chanbara, scritto come nel titolo del volume nella corretta grafia e non italianizzato, in Giappone indica un’azione ben precisa, che è la lotta con le katane ma poi, per estensione diviene un genere, quello di cappa e spada (o, considerando che a volte include anche creature mitologiche, di kappa e spada, tu tun cha please) ambientato tendenzialmente nell’epoca Tokugawa (150 anni a cavallo tra 1600 e 1800) e che ha creato epigoni ben oltre le soglie di Yamato. Solo a tirare a caso tra i miei preferiti penso a L’ultimo Samurai film di Edward Zwick e Usagi Yojimbo di Stan Sakai.
Ovviamente, se devo pensare soltanto al Sol Levante, autori come Sampei Shirato, Kazuo Koike e Goseki Kojima, tra quelli pubblicati anche in Italia, hanno saputo definire al meglio le suggestioni di questo genere.
Chanbara è una storia che nasce nella fortunata collana antologica de le Storie Bonelli. Collana che ha saputo cogliere lo zeigeist dando ai natali anche a Mercurio Loi e fungendo più genericamente da fucina per nuovi talenti e possibilità. È una storia di samurai, raccontata nel più classico degli stili. Omaggia Lone & Wolf sin dall’inizio ma con una verve che ne riconfigura gli elementi in modo vivido. Del resto, si sa, Roberto Recchioni ha sempre nutrito una certa passione per l’estremo oriente ed i valori trasmessi dall’ordine dei samurai, pur se appartenenti ad una società rurale dove rappresentavano una necessità di sopravvivenza più che altro, continuano a nutrire un fascino imperituro.
Raccontare storie ambientante in terre lontane è elemento fondante del concetto stesso di avventura. E, in questo caso, gli elementi che vanno a comporre trama ed intreccio di questa storia (che ha peraltro un seguito) sono ben congeniati e pescano a piene mani dall’immaginario chanbara. Jubei ha contravvenuto un debito di onore nei confronti del suo signore e Tetsuo suo allievo viene mandato a prenderlo per portarlo ad una sicura morte. Il viaggio si infittisce si strani incontri e, il complotto ordito alle spalle di Jubei verrà pian piano svelato. L’argomento è trattato con il rispetto dovuto e, la storia comprende bellissime scene di azione intervallate da valutazioni sul bushido, conformi al canone del genere.
Andrea Accardi, nato nella scuderia di Nova Express e Mondo Naif fa un lavoro eccezionale. Le tavole che compongono questa avventura sono straordinariamente piene di dettagli. Ogni sfondo, ogni costruzione o vegetazione, è caratterizzato da una serie di dettagli anche minimi che rendono l’ambientazione della storia unica e magica. Non a caso il volume gli valse di miglior disegnatore al Comicon del 2013. Il bianco e nero, dono un tocco assai particolare, soprattutto nelle scene, non poche, ambientate in un villaggio innevate, i dettagli custoditi dal bianco fanno risaltare ancora di più i neri sospinti dalle linee di velocità, tratto caratteristico dei manga giapponesi che qui assume il prezioso valore di omaggio persino tarantiniano.
La storia chiude con un finale che potrebbe aprire ad uno slancio ben più ampio delle poche storie che hanno fatto seguito in questi otto anni, ma del resto si sa, Recchioni è autore impegnato e, purtroppo, le Storie, pur cambiando pelle, si apprestano a non essere più soltanto un calderone di novità ma altro.
Ma si sa i mandala si ripetono all’infinito per poter sempre cambiare.