Doveva succedere. Era solo questione di tempo e poi sarebbe accaduto. Chi segue il The Flywas Show sa che soprattutto con gli ospiti ne parlo parecchio : prima o poi la pandemia sarebbe scivolata dentro il subconscio e ci saremmo trovati a leggerne, sentirne nelle canzoni, o come in questo caso, vederla in un film.
Locked Down da questo punto di vista è un film strano, molto realistico e, se non subisse una sterzata profonda sul finale, rischierebbe di divenire un trattato pesante e logico sull’impatto psicologico che i mesi chiusi in casa hanno avuto su tutti.
Perché se non si è assorbiti dal trambusto di tutti i giorni, se non ci si preoccupa delle ore spese nel traffico od in fila al supermercato, quello che rimane è un’analisi attenta ed accurata del tipo di esistenza che conduciamo. E di che razza di persone siamo dovuti diventare per sopportarla.
Paxton (Chiwetel Ejiofor) e Linda (Anne Hathaway) sono una coppia in crisi, la loro vita sentimentale si è già interrotta, resta l’affetto forse, assieme ad un mare di rimpianti. Se Londra non fosse chiusa per il Covid, sarebbero già in due case diverse. Ma Londra è chiusa e per loro rimane solo il disastro fumante della loro esistenza.
Paxton soffre di depressione. Ha commesso una stupidaggine da giovane e per quello non è mai riuscito a trovare un lavoro qualificato e con la pandemia le cose peggiorano ulteriormente. Linda è la CEO di un gruppo pubblicitario, fa cose che detesta, e detesta se stessa per tutti i compromessi.
Il modo in cui Doug Liman dirige la storia permette di mescolare il dramma ad un registro più leggero. La presenza continua di chat whatsapp, di zoom di teams, è qualcosa che entrato nella vita di tutti i giorni. Ma nel caso specifico è funzionale per far comparire gli altri personaggi che per via del distanziamento sociale non potrebbero condividere lo stesso spazio. Da segnalare due cameo stratosferici di Ben Stiller e Ben Kingsley.
Il lavoro sui dialoghi, esistenzialisti, ma anche legati alla vita di tutti i giorni (ai tempi del Covid) è assolutamente brillante. ‘ce l’hai?’ Chiede ad un certo punto una collega a Linda, ed è terribile perché trasmette quella sensazione di angoscia che chiunque stia per fare un tampone ha. La fotografia riprende una Londra silenziosa e solitaria, umida e carica di luci. E mi fa una terribile nostalgia perché proprio prima che scoppiasse questa brutta storia avevo programmato un viaggio da quelle parti.
Pur non riprendendo quasi mai punti turistici della città, a parte, per ovvie ragioni, Harrods, comunque trasmette la sensazione forte di quella città, l’odore di fish & chips e di mobili di legno scadente.
Come dicevo una pellicola perfetta, che potrebbe raccontare timidamente l’implodere di una vita comune fino a quando si arriva al terzo atto. A quel punto la storia vira, quasi in modo schizofrenico e, prima che ci si possa accorgere siamo proiettati dentro un deus ex machina forse più grande di tutta la pellicola. È un peccato perché, fa un po’ l’effetto della famiglia Barr che vince alla lotteria.
Miracolosamente i due ritmi si sorreggono e la possibilità di cadere in tentazione in un Harrods completamente abbandonato dal pubblico fa dimenticare tutti i casini e sperare che il destino per una volta, sorrida. Ovviamente sappiamo che non tutte le storie sono così, e forse mi sarei aspettato una pellicola con un finale differente.
Resta il fatto che nell’ascensore dei grandi magazzini, c’è uno scambio di battute che devasta e serve da lezione per tutti.
‘perché è andata male tra noi?’
‘perché quando ti ho incontrato cercavo un selvaggio e tu eri un selvaggio’
‘e poi?’
‘poi io ho smesso di volere un selvaggio e tu hai smesso di esserlo’
‘e non andava bene?’
‘no’
L’ineluttabilità, o qualsiasi altra cosa possa farti gridare non è giusto.